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XI del tempo ordinario A

18 giugno 2017

Gesù chiama. Ne chiama dodici come a simboleggiare il nuovo popolo di Israele fondato non più sulle dodici tribù, ma sulle nuove colonne che sono gli apostoli. Chiama questi uomini e se guardiamo bene tra i loro nomi troviamo chi fa il pescatore come Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni; troviamo Matteo esattore delle tasse e quindi ladro, perché chi praticava questo servizio all’impero era assodato che qualche spicciolo per sé lo metteva in tasca; troviamo anche Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì. Se è vero quello che dice Gesù, ovvero che «la messe è molta, ma gli operai sono pochi», allora comprendiamo bene che per la chiamata ad essere seminatori nel campo di Dio che è la Chiesa non occorre un diploma, un attestato, un riconoscimento. L’unica prerogativa per essere annunciatori della Parola di Dio e collaboratori stretti del Maestro è la risposta alla chiamata di Cristo. Annota bene Matteo, uno dei Dodici: Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date». Non li prepara con anni e anni di studi teologici, non li fa sedere nei banchi con tanto di carta e penna per una verifica di idoneità, non li fa partecipare ad alcun concorso per entrare in graduatoria. Li chiama e li manda ad annunciare il vangelo alle pecore perdute della casa di Israele, prima ancora che ai pagani. Cosa dicono a noi queste parole? Gesù ci chiama a seguirlo, perché solo stando con lui si può imparare il vangelo da annunciare, come del resto avranno fatto gli apostoli. Poi ci manda alla nostra gente, ai nostri familiari, ai nostri parenti ed amici per annunciar loro la Parola di Dio con la nostra vita, con semplici parole, con la nostra testimonianza. Nessuno di noi ha in mano il diploma di “discepolo migliore”, ma tutti abbiamo il compito di essere annunciatori. Chi è piccolo avrà il compito di imparare ad essere discepolo di Cristo attraverso l’aiuto degli adulti e gli adulti hanno il compito di continuare l’opera evangelizzatrice iniziata dagli apostoli per mandato di Gesù. D’altronde la parola stessa “apostolo” significa “inviato”. E noi siamo gli apostoli di oggi chiamati a formare gli apostoli del domani e continuare l’opera degli apostoli di ieri. E quando quest’opera ci sembrerà complicata, perché non è semplice annunciare il vangelo, ci devono tornare alla mente le parole di Gesù: «Rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele». Perché proprio queste parole? Semplicemente perché ci dicono che neanche al tempo di Gesù era tutto rose e fiori, altrimenti non avrebbe parlato di pecore sperdute. C’erano allora come ci sono oggi. E proprio a queste che abitano le nostre case, i nostri posti di lavoro, i luoghi di vacanza che frequentiamo o frequenteremo, noi siamo chiamati a rivolgerci, senza problemi. Gli adolescenti e i giovani, le mamme e gli educatori nel CRE hanno questo ruolo importante: essere quegli apostoli che annunciano la Parola di Dio educando passo passo i ragazzi loro affidati. I genitori non devono mai smettere di educare alla fede i propri figli, anche quando verrebbe voglia di rassegnarsi. I nonni stessi hanno in sé questo grande compito e non possono far finta di niente, come lo hanno i padrini e le madrine. Tutti siamo apostoli e nel nostro apostolato siamo chiamati a predicare, dicendo con la vita e il buon esempio che Dio ci è vicino; siamo inviati per guarite gli infermi attraverso la nostra vicinanza, la nostra cura e le nostre attenzioni, là dove è possibile; siamo apostoli per risuscitare quegli uomini che hanno deciso per la loro vita di essere morti perché chiusi in se stessi e incapaci di vedere un’esistenza bella che vale la pena di essere vissuta e spesa per qualcosa di grande; siamo inviati per purificare i lebbrosi che sono attaccati dall’avidità, dall’avarizia e dal menefreghismo, perché la lebbra è infettiva e queste tipologie di lebbra presenti oggi nel cuore degli uomini sono assai gravi e contagiose; siamo chiamati da Cristo a scacciare da noi e da chi incontriamo quei demòni quali la gelosia, l’invidia, la rabbia, la falsità e l’ipocrisia che non ci permettono di essere bravi cristiani anche se si pensa di fare un mondo di bene. Insomma, tutti siamo chiamati all’apostolato, ciascuno con le sue caratteristiche e con i suoi limiti, perché Cristo si fida di noi come si è fidato prima di questi Dodici e dopo di tanti altri. L’unica prerogativa – dicevamo – è rispondere prontamente a questa chiamata. Chissà se ne siamo o ne saremo capaci? Chissà se tra i nostri ragazzi ci sarà qualcuno che metterà a servizio del Signore la propria vita per essere apostolo di Cristo in senso stretto nella via del sacerdozio o della vita consacrata?