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XIII del tempo ordinario A

2 luglio 2017

La chiamata alla sequela di Gesù non deve temere paure o vergogne. Il cristiano non può aver paura o vergogna della sua missione evangelizzatrice, alla quale il Signore lo ha chiamato in virtù del battesimo. Perché come dice l’apostolo Paolo: “Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. E cosa comporta questa vita nuova se non l’essere figli di Dio in Cristo e suoi discepoli che con coraggio e tenacia divulgano la buona novella con parole nuove e gesti nuovi? Parole e opere che vincono la mentalità del mondo che troppo spesso ci parla di morte, di interessi personali e di salvaguardia di se stessi a scapito dell’altro, secondo il detto famoso: “Mors tua, vita mea”. Il cristiano non si chiude in questi ragionamenti, non pensa di bastare a se stesso. Il cristiano è l’uomo di Dio di cui ci parla il libro dei Re a proposito di Eliseo. È l’uomo che porta con sé Dio e lo fa sperimentare a quanti incontra, a quanti visita. È l’uomo che dona speranza anche quando la rassegnazione sembra avere la meglio nelle persone. Le parole della donna facoltosa che invita con insistenza il profeta Eliseo non devono trarci in inganno. Ella dice al marito, vecchio e ormai impedito nel dare una discendenza: «Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Prepariamogli una piccola camera al piano di sopra, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e una lampada, sì che, venendo da noi, vi si possa ritirare». Lette in chiave semplicistica e piuttosto banale, queste parole sembrano abbiano un secondo fine. Eppure il profeta non si lascia trarre in inganno dalle facoltà della donna. Egli non guarda all’esteriorità, ma all’angoscia che questa donna sente dentro di sé per non aver dato alla luce un bambino, segno della benedizione di Dio e capace di continuare la discendenza della famiglia. Eliseo si ferma in quella casa non come approfittatore della benevolenza di quella donna, ma diventa un membro della famiglia per portare a loro la speranza di Dio, la speranza che con Dio la vita va guardata in modo diverso. Entra in quella casa e ci abita perché sa bene che è Dio che vuole abitare in quella casa e donare speranza a chi ha perso ogni speranza pensando di essere maledetto. Il cristiano di oggi incontra situazioni di disperazione, o di rassegnazione. E come si pone di fronte ad esse? È più facile scappare che affrontare il discorso. Lo dico in prima persona, confessando come non sia semplice affrontare discorsi delicati: la malattia delle persone, lo sbandamento dei ragazzi quando i genitori chiedono o non chiedono aiuto, la separazione dei coniugi quando soprattutto c’è di mezzo la vita dei figli, la morte stessa, le vicende di etica sociale e della morale di una vita che per lo più nella società di oggi non sembra proprio essere così preziosa, anche se tutti poi sembrano averla tanto a cuore, ma poi per l’aborto e l’eutanasia i pareri favorevoli sono dilaganti. Ecco, di fronte a tutti questi discorsi talvolta viene la voglia di prendere scuse per non affrontarli, ci si inventa impegni urgenti, impossibilità di scambiare due chiacchiere e via dicendo. Ma questo non è lo stile del cristiano e nemmeno dell’uomo di Dio. Certo, sa Dio quanto è difficile affrontare determinati temi scottanti o discorsi che affliggono, ma le parole di Cristo sono ben precise: «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto». Egli ci chiede di accogliere le persone che ci stanno di fronte, quelle che suonano il nostro campanello per trovare conforto alle loro fatiche e sofferenze. Ci chiede di accogliere le angosce dei fratelli e delle sorelle e di donare loro speranza, perché il cristiano è l’uomo di Dio. E aggiunge: «E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa». Chi sono questi piccoli, se non coloro che hanno bisogno della nostra attenzione, della nostra cura, delle nostre parole o anche solo della nostra vicinanza perché oppressi da gravi o meno gravi problemi? Sì, sono loro i piccoli del vangelo, che come bambini anelano a quell’abbraccio sicuro del padre. Così anche molte persone adulte desiderano trovare nei cristiani persone che sappiano far sentire loro l’abbraccio di Dio, un Dio che si rende presente in noi e non ci abbandona alle fatiche che la vita ci riserva. Quanto è dura questa cosa che il Signore chiede a me e ad ogni cristiano; quanto è faticoso mettere in atto queste parole. Eppure il Signore ci dice oggi che non serviranno i “Mi piace” su facebook o sulle piazze virtuali e nemmeno le chiacchiere nelle piazze reali, ma solo parole e gesti concreti di attenzione e vicinanza perché, di ciascuno, qualcuno possa dire: «Costui è un uomo di Dio, un santo; rimanga qui».