Stampa

XV del tempo ordinario A

16 luglio 2017

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Così il Signore aveva parlato lodando Dio per la semplicità dei piccoli, ovvero dei semplici, degli uomini che con cuore mite accolgono i misteri del Regno dei cieli. E sulla scia di quelle parole il Signore oggi ci mostra, attraverso la conosciutissima parabola del seminatore, chi sono quei piccoli, presentandoceli come terreno buono che accoglie il seme. Il cuore dell’uomo è come un terreno. Egli stesso spiega questa parabola, dopo averci illustrato le diverse tipologie di terreno sul quale cade il seme della sua parola: «Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno». Sarebbe inutile aggiungere altre parole alla Parola stessa del Signore. Ma per comprendere meglio perché egli dica questo basta leggere quanto segue il racconto della parabola. Si legge infatti nel vangelo: “Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi”.  Gesù, citando il profeta Isaia, dimostra ai suoi come il mondo è fatto di persone dal cuore insensibile, che hanno chiuso occhi e orecchie per non vedere la sua presenza e non udirne la voce. Potremmo allora dire che è quanto mai attuale questa parola anche ai nostri giorni. Il mondo sembra essere pieno di perone che hanno chiuso gli occhi davanti al Signore e turato le orecchie di fronte alla sua parola. Egli usa l’espressione “insensibili”, che è molto forte. Insensibile infatti è colui che ha perso la sensibilità, è colui che non sente suoni, non ha tatto, non possiede la capacità di stringere tra le mani alcun oggetto, non ne sente il calore, non percepisce la forma, non vede il colore e non gusta il sapore. Chi soffre di insensibilità fisica sa bene quanto costi questa brutta sensazione. Eppure nel nostro tempo molti soffrono di insensibilità del cuore, insensibilità morale, che in modo brutale si chiama menefreghismo. Sì, spesso incontriamo persone che sono menefreghiste davanti al Signore, non riescono a percepire la bellezza della sua parola, il gusto dolce della sua bontà, il calore del suo amore. Fanno fatica o scartano addirittura la possibilità di lasciarsi guidare dal Maestro. Ora, non vogliamo certamente farne un processo. Quante persone infatti conosciamo con questa insensibilità. Ma se ci guardiamo dentro, anche noi un po’ ne soffriamo, soprattutto quando della parola del Signore prendiamo ciò che ci fa comodo e scartiamo o facciamo finta di non udire ciò che ci fa un po’ male, quelle verità che sono un po’ scottanti, un po’ come quando ci riprendono su ciò che non va nei nostri atteggiamenti perché sappiamo essere sbagliati. Ma la posta in gioco oggi, non è semplicemente chiederci: ma io che tipo di terreno sono? E nemmeno: ma quelli che mi stanno accanto che tipo di terreno sono? No. La vera posta in gioco è sconfiggere la nostra insensibilità, per aiutare gli altri, quelli più o meno insensibili che conosciamo o che ci passano accanto ogni giorno, ad essere meno insensibili di fronte alla parola del Signore. In pratica: come possiamo fare a catturare l’attenzione degli altri per ricondurli ad essere terreno buono che accoglie il seme della parola di Dio e che porta frutti abbondanti di opere buone? Il nostro buon esempio è certamente la prima risposta. Ma forse, sappiamo bene, non è l’unica. E allora cosa fare? La risposta non la so. Una cosa penso di sapere: se noi saremo quel terreno buono di cui parla il Signore, Egli stesso, attraverso la sua parola, saprà suggerirci quali sono quei metodi e quegli atteggiamenti per catturare l’attenzione dei più insensibili.