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XXIII del tempo ordinario B

9 settembre 2018

Che brutta cosa sentire la parola vendetta in bocca al profeta che dà voce a Dio. Come è possibile che Dio usi l’arma della vendetta? Ma come? Mi trovo a predicare che la vendetta è un abominio e che le persone devono smetterla di vendicarsi in famiglia, tra vicini di casa, tra volontari nella stessa comunità e mi sento dire dal profeta Isaia che Dio usa vendetta? Come posso pensare di aver detto: «Potremo essere le persone più caritatevoli di questo mondo, le più solidali e generose di questo mondo, le più accoglienti di questo mondo, ma se usciti di casa non guardiamo in faccia il nostro prossimo o continuiamo a sparlare e mettere in cattiva luce chi non sopportiamo, siamo sicuri di essere cristiani autentici?» e poi pensare a Dio che si vendica? Ma non è lui che ci ha detto: «Misericordia io voglio e non sacrifici»? Certamente non è molto chiara questa posizione di Dio, così come non è chiaro al primo colpo il rapporto tra vendetta e ricompensa se ascoltiamo bene la voce del profeta che, inviato da Dio, dice: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Ma a chi si rivolge Dio usando questa espressione? Cosa mai vorrà dire Dio? Se la vendetta è la ricompensa allora tutti siamo autorizzati da Dio a vendicarci – come se già non lo facessimo – … Se prendiamo tra le mani la Parola di Dio come essa va presa in considerazione e non secondo i comodi di ciascuno, allora comprendiamo come la vendetta di Dio non è paragonabile alle nostre meschinità. A Dio, lo canta bene Maria nel Magnificat, piace vendicarsi in modo sorprendente. Egli infatti «ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia». In queste parole attribuite a Maria è riassunta la vendetta e la ricompensa di Dio, che volge il suo sguardo all’umile e al povero in spirito, che mette fuori rotta i disegni dei superbi, che pone al centro gli scartati, quelli a cui nessuno guarda, e non sto parlando solo di chi viene da oltre mare, ma anche di coloro che ci sono a fianco ogni giorno e che non consideriamo perché non sono alla nostra altezza. Dio non si vendica come facciamo noi uomini, ma sconvolgendo la nostra mentalità e la logica del mondo, cambiando la nostra esistenza non in peggio – perché a cambiarla in peggio ci pensiamo già noi – ma in meglio. Dio guarda il cuore di ognuno e non si vendica con la forza, ma con l’amore, ricompensando chi è zoppo, cieco, muto. Ma chi sono questi nella società di oggi? Chi vacilla non sulle sue gambe, ma nella vita, perché non ha più nessuno che lo sorregga; lo zoppo è colui che vacilla nella fede, perché ha deciso di fare tutto senza Dio e ha bisogno di qualcuno che lo stimoli nel prendere il giusto passo per affidarsi ancora a Dio attraverso persone che lo sostengano in questo cammino. Chi è il cieco se non colui che non vede se non se stesso come davanti allo specchio credendo che il mondo inizi e finisca con lui, che ritiene di essere il solo capace di portare avanti la storia, gli eventi e che deve avere tutto sotto controllo, perché capace di tutto e gli altri di niente? Anche a questo Dio si rivolge toccandogli gli occhi del cuore per portarlo a vedere un mondo migliore, fatto di tante persone belle, fatto di persone con le quali vivere e rapportarsi per vincere la propria cecità. E il muto? Beh ci sono muti che parlano più di chi ha un nodo sulla lingua o problemi alle corde vocali. I muti di oggi sono quelli che non parlano in faccia, ma alle spalle, che criticano ogni cosa e macchinano sotterfugi. Anche a questi Dio si rivolge proponendogli una ricompensa qualora vogliano lasciarsi guarire: la parola è un dono bello, e chi non può parlare ne sa qualcosa: perché sprecarla in meschinità, maldicenze, calunnie? Dio non vuole la nostra morte, non vuole il dolore del nostro cuore che spesso ci provochiamo da soli quando vogliamo zoppicare, restare ciechi o muti. Apriamo il nostro cuore a Dio e lasciamo che egli ci guarisca da questi mali. Convertiamo il nostro cuore e avremo una ricompensa grande che ridonerà alla nostra vita un sorriso più bello, più vero, più puro. Certamente non possiamo fingere che non ci sia un’altra malattia da cui guarire: la sordità. Quante volte vorrei essere sordo, ma poi mi rendo conto che ascoltare la voce di chi si ama, sentire parole che fanno ridere, altre che incoraggiano, quelle che sostengono ci porta a pensare che anche l’udito è un gran bel dono. La malattia allora è propria di quelle persone a cui si riferisce il detto: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”. E allora non perdiamoci in chiacchiere inutili e preghiamo intensamente: ciascuno per sé e per tutti, perché se il Signore ha fatto bene ogni cosa, farà udire i sordi e farà parlare i muti, farà camminare gli zoppi e vedere i ciechi.