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XXXII del tempo ordinario B

11 novembre 2018

«Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa», dice il Signore. E allora se non sono gli scribi, cioè i conoscitori della legge di Dio, chi sono gli esempi da seguire? Seduto di fronte al tesoro del tempio, guardava coloro che gettavano le loro offerte. E vedendo una povera vedova che gettava due spiccioli, ce la presenta come modello di umiltà e di autenticità, che non dona a Dio il superfluo, ma tutto quello che ha per vivere. Se gli scribi erano abili a ripetere il primo comandamento: amare Dio con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le forze, ma poi davano il superfluo, noi cosa doniamo a Dio? Proviamo a pensare al nostro tempo: quanto ne spendiamo per Dio? Quanto tempo doniamo al Signore in una giornata, quanto tempo ricaviamo tra le mille cose da fare ogni giorno per dedicarlo all’ascolto di Dio, alla preghiera, all’incontro con lui? Eppure diciamo di amare Dio, ma come glielo dimostriamo? Siamo spesso presi da tante cose, mille faccende, corse a destra e a manca per riuscire a fare tutto e poi magari, sì ci addormentiamo con il pensiero per Dio, ma le forze ci abbandonano e rimandiamo al giorno seguente il tempo da dedicare a lui. E a forza di rimandare al giorno dopo la nostra vita è costituita da tante cose da sbrigare, ma non troviamo tempo per il Signore. Eppure guai a chi ci dice che non amiamo Dio. La mattina ci alziamo e il primo pensiero va alla lista della spesa, alla lavatrice da fare, a cosa cucinare, a cosa fare sul lavoro o nelle cose domestiche, alle persone da incontrare, ai colleghi da sopportare e ancora alle cose da fare. Ma noi amiamo Dio, anche se la mattina presto, prima di uscire di casa, trovare il tempo per pensare a Dio è difficile, perché siamo perennemente in ritardo. Tentiamo di farlo sulla via che porta al lavoro, nel caos delle strade, mentre siamo al volante tra una frenata e un insulto a quello che davanti inchioda e a chi sulla destra cerca di farsi posto nella colonna di macchine che sembra non finire. Ma tra una distrazione e l’altra, non possiamo perdere la concentrazione, per non provocare o subire incidenti, e allora smarriamo il filo del discorso con Dio e lo rimandiamo a data da definirsi. Eppure noi amiamo Dio. Sul pullman, sì, magari anche sul pullman, nel nostro cuore senza farci vedere dai coetanei, tentiamo di rivolgere qualche parola al Signore, chiusi nel cappuccio della felpa con occhi bassi, ma poi tra lo spintone di uno e il posto da cedere a qualcun altro non ci ricordiamo più a che punto siamo arrivati: va beh dai, sarà per la prossima volta. Ma noi amiamo Dio. La Messa domenicale però è un punto fermo, fondamentale; a volte, riuscendo, anche quella feriale. Non può bastare? Si d’accordo, le giornate calde d’estate e i centri commerciali d’inverno per le festività ci portano via tempo, ma il pensiero c’è. Non è quello che conta? Se l’amore per Dio si rivela anche nell’amore per il prossimo – come Gesù stesso ci ha insegnato – allora potrebbe bastare vedersi una volta a settimana, o una volta al mese, o per gli auguri natalizi, giusto il tempo di un saluto veloce e poi via, ancora immersi ognuno nelle proprie faccende. Sì, magari la prossima volta ci diamo un po’ più di tempo, magari ci vediamo qualche volta in più. E poi tra una scusa e l’altra o un impegno e l’altro rimandiamo. D’accordo: non serve vedersi tutti i giorni per volersi bene  – dicono –. Il nostro prossimo lo amiamo come amiamo Dio e cerchiamo di sentirci apposto, ritagliando per Dio e per il prossimo un piccolo brandello di tempo che metta a posto la nostra coscienza, perché ciò che conta è salvare l’apparenza, far vedere che qualcosa abbiamo fatto, che un po’ di tempo ce lo siamo presi mettendo a tacere tutto e tutti. E la nostra coscienza? Riusciamo a metterla a tacere o quella è lì che ci martella sull’amore per Dio e per il prossimo, ricordandoci che l’amore per Dio e per il prossimo non si manifesta con l’orologio in mano perché siamo sempre di corsa e non abbiamo mai tempo se non per sbrigare quelle faccende che ci fanno arrivare a sera soddisfatti di dire: «Sono apposto, ho fatto tutto quello che dovevo fare». Allora, quella vecchietta nel tempio o i discepoli con la barca sulla riva del mare di Tiberiade, ci insegnano che abbiamo ancora molto da imparare, ci mostrano il coraggio di osare, di prendere il largo, di non stare sulla riva a guardare per vedere se è tutto apposto. Ci insegnano ad avere il coraggio di spendere la nostra vita offrendola a Dio e al prossimo senza troppi calcoli e senza superficialità, perché solo chi ha il coraggio di donare a Dio la sua vita in modo pieno sa che non ha buttato via tempo. Non solo.  Sa bene che se anche il Signore ci chiede molto e molti sacrifici, anche per la vita sacerdotale e religiosa a servizio del Vangelo e del prossimo, egli ci donerà anche quella ricompensa che dura nel tempo, che non si esaurisce, come la farina nella giara e l’olio in quell’orcio. Dobbiamo solo avere un po’ più di coraggio per prendere il largo e donare a Dio e al prossimo non il superfluo, ma tutta la nostra vita e la vita dei nostri ragazzi, fosse anche per il sacerdozio e la vita consacrata.