XXIII del tempo ordinario A

10 settembre 2017

Mettersi dietro al Maestro, seguire i suoi insegnamenti, è impegnativo e richiede uno sforzo spirituale che deve farci approdare a qualcosa di concreto che si chiama carità. E l’apostolo Paolo ce lo ricorda nella sua lettera ai Romani: “La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità”. Seguendo infatti la legge del Signore giungiamo alla piena realizzazione dei suoi insegnamenti. La prima e più alta forma di carità che troviamo nella legge del Signore è l’amore che si delinea proprio nell’amare il prossimo come se stessi. Ma cosa significa questo? Come posso amare il mio prossimo? Il Signore Gesù ce lo insegna: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano». È la correzione fraterna che ci porta in primo luogo a vivere l’amore verso il prossimo. Ma quanto ne siamo capaci? È più facile chiacchierare alle spalle del prossimo che non prenderlo in disparte e dialogare con lui. È più facile metterlo in cattiva luce di fronte agli altri per attirare su di noi il consenso di chi ci sta intorno che non affrontare un discorso e aiutarsi a vicenda per correggersi. Quante volte ci è capitato di commettere questo errore? Penso in media almeno una volta al giorno. Certamente per compiere l’operazione che il Signore chiede ai suoi seguaci occorre delicatezza da una parte e desiderio di accogliere un consiglio dall’altra. Ma c’è un rischio che non dobbiamo correre nel fare quanto il Signore Gesù ci insegna: è il rischio della critica che si trasforma in attacco. Abbiamo spesso la pretesa di attaccare tutto e tutti, abbiamo l’arroganza di metterci di fronte all’altro solo per colpevolizzarlo. Il Signore non ci dice di far finta di niente se un nostro fratello sbaglia e di chiudere un occhio. Anzi. Attraverso il profeta Ezechiele ci ammonisce nell’essere capaci di correzione fraterna. Ci dice addirittura: «Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te». Nello stesso tempo non ci dice nemmeno di ergerci ad accusatori gli uni degli altri. Certamente è più facile parlare alle spalle e riempirci la bocca di accuse, ma perché non sappiamo affrontare la nostra discussione col diretto interessato? Sì, forse pensiamo che non ci ascolti e allora ecco che Gesù Cristo valuta anche questa possibilità e ci invita a prendere con noi alcuni testimoni o addirittura un bel gruppo di persone per aiutare un nostro fratello a ravvedersi sui suoi sbagli perché possa ricredersi. La teoria non fa una piega, ma la pratica? Certamente anche i testimoni devono essere ben scelti, obiettivi e non compagni di merenda che stanno dalla nostra parte solo per amicizia o per via di un legame affettivo. La verità infatti non deve essere svenduta a basso prezzo, ma deve essere manifestata per quello che è. E se questo fratello o sorella non ascolta? Pazienza – sembra dirci il Signore – perché quanto potevamo fare di bene e non di male è stato fatto e se vuole perseverare nel suo errore se la vedrà con la giustizia. Di questo ce ne parla ancora Dio attraverso il libro del profeta: «Se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato». Ora, la domanda che mi sorge spontanea è una sola: ma noi, che ci diciamo tanto cristiani, riconosciamo di essere fratelli in Cristo oppure esulando da questo preferiamo perseverare nel sentirci migliori di altri e più che desiderare il bene dell’altro preferiamo salvare la nostra faccia piuttosto che la sua e la nostra anima? «In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo», ci ha detto il Signore: ma a noi, con i contenziosi che abbiamo in giro, interessa costruire legami su questa terra nel vincolo della vera carità o preferiamo continuare a chiamarci cristiani e vivere con le nostre chiacchiere alle spalle di chi invece dovremmo aiutare e correggere?