XXVI del tempo ordinario A

Festa della Madonna del Rosario

1 ottobre 2017

Non so bene se tornare sui propri passi sia un bene o una male. Penso sia da valutare in base alla situazione. Ci sono passi da rivedere e passi spediti da continuare a muovere. Sta di fatto che nella vita i ripensamenti sono all’ordine del giorno. «Farò bene o farò male?», «Avrò fatto la cosa giusta o avrò sbagliato?». Si dice spesso che una casa per costruirla bene bisognerebbe farla e rifarla almeno tre volte e poi non si è ancora sicuri di averla costruita al meglio. È così anche nelle nostre scelte e nelle nostre decisioni. Per un momento mi viene da pensare a Maria, mentre in questa domenica la veneriamo come Signora del Rosario, ovvero come donna della preghiera. Chissà quante volte anche lei si sarà messa a pensare se il suo «Eccomi» al Signore sia stata la scelta migliore, al contrario di quanto avvenne in quella vigna, nella quale “un uomo aveva due figli e rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò”. Maria è sicuramente colei che non si è lasciata prendere subito dalle buone intenzioni rispondendo positivamente, per poi fregarsene e cambiare idea. Maria assomiglia più all’altro figlio di quel padrone della vigna che gli disse lo stesso. “Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò”. Maria non è la sbadata di turno che alla prima proposta dice il suo “Sì” spensierato senza pensare alle conseguenze. Si tramanda che l’angelo Gabriele fosse tornato da Maria una seconda volta per accogliere la sua risposta definitiva. Ma questo poco ci importa. Ciò che conta è che Maria, la ragazzina di Nazareth, ha saputo mettersi nelle mani di Dio e sicuramente l’ha fatto attraverso la preghiera. Cosa è infatti il Rosario se non la meditazione dei misteri della nostra salvezza attraverso l’invocazione materna di Maria? A cosa ci richiama il Rosario se non ad una preghiera costante che ci permette di aprire bocca e cuore per pronunciare parole belle? Parole belle che sanno convertire il cuore, perché la preghiera spalanca la porta del cuore e ci permette di far entrare Dio, che pian piano ci ricolma del suo Spirito, come ha fatto in Maria. Il Signore ci permette poi di generare noi pure la sua Parola, il suo Vangelo che si fa carne nelle buone opere che realizziamo. E allora se spesso siamo stati come il primo figlio di quel padrone della vigna abbiamo bisogno di ripensare alla nostra vita, alle nostre scelte, alle risposte che abbiamo dato al Signore che ci chiamava ad essere lavoratori nella sua Chiesa; se siamo stati come l’altro, titubanti nell’accogliere l’invito del Signore, guardiamo a Maria e come lei diamo la nostra pronta risposta, fidandoci del Signore che non ci lascia delusi, anche se nella sua Chiesa non mancano fatiche e pesantezze. Sono quelle fatiche e quelle pesantezze che spesse volte ci tiriamo dietro da tempo o che ci creiamo da soli, quando anziché servire il Signore serviamo più il nostro orgoglio, andando a scontrarci a vicenda e rovinando così quella bella vigna coltivata dal Signore. Facciamo nostre le importanti parole di San Paolo: “Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù”. Adesso comprendo meglio cosa significa: “Essere superiori”. È un’espressione che usiamo quando invitiamo qualcuno a non scendere a quei giochetti stupidi che portano al litigio e allo scontro. Diciamo infatti: «Lascia stare, sii superiore». Non significa credere di essere più importanti, più capaci, più intelligenti, e nemmeno di essere i buonisti della situazione, ma vuol dire considerare gli altri con gli stessi sentimenti di Cristo che “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo”. Ecco, essere superiori non è un privilegio, ma un compito che ogni cristiano deve sentire come urgente in se stesso. Significa paradossalmente abbassarsi con tutta umiltà per sentirsi servi del Signore che ci chiama a lavorare nella sua vigna per il bene non nostro, ma della sua stessa Chiesa. E se la fatica della collaborazione si fa sentire, avvertiamo dentro di noi gli stessi sentimenti di Cristo, che non è venuto per essere servito, ma per servire, aiutandoci così a comprendere che per lavorare nella vigna del Signore serve sì l’obbedienza, ma soprattutto l’amore fraterno, la preghiera incessante e la passione per la sua Vigna, la Chiesa.