Passione del Signore

30 marzo 2018

«Venite e vedete il Calvario». Non è proprio un bello spettacolo. Siamo venuti, Signore, abbiamo accolto il tuo invito, ma credici: non è stato per niente bello. L’abbiamo guardato da lontano, non siamo stati capaci di starti vicino. Volevamo seguirti, ma non ce l’abbiamo fatta. Chi per un motivo, chi per un altro, chi per paura, chi per fatica. Non ci siamo riusciti a starti dietro, forse perché troppo forte è il tuo amore per noi e la nostra capacità di amare non è come la tua. Qui per accelerare la marcia, per fare un salto di qualità nella vita dobbiamo sempre riscuotere qualcosa o dobbiamo pagare un prezzo. Per ogni cosa si paga. A volte anche l’amore. Sì, per qualsiasi favore bisogna esibire denaro. Ne sai qualcosa tu: Giuda, per trenta denari, ha venduto il tuo amore, il tuo perdono, la tua stessa vita. Siamo molto soggetti a questo tipo di vita: non si fa niente per niente, è tutto un do ut des (io ti do se tu mi dai). La gratuità non la conosciamo più, non sappiamo più amare gratuitamente. Per ogni cosa chiediamo sempre la ricompensa, i bambini si aspettano la mancia, i giovani hanno capito come gira il mondo. Siamo qui, davanti a te, finti ignari del fatto che la nostra salvezza ce l’hai acquistata tu, non per trenta denari, ma con la tua stessa vita offerta per noi, peccatori. Ignari del fatto che tu ogni volta che dici «Prendete questo è il mio corpo offerto per voi», non ci chiedi nulla se non di lasciarci amare da te. È il paradosso più assurdo. Proprio mentre dovremmo essere noi a pagare per i nostri peccati, per le nostre indifferenze nella fede, per il nostro menefreghismo di fronte alle quotidiane tue chiamate ad essere tuoi discepoli, tu sei sempre pronto a pagare al posto nostro, a rimetterci la faccia e la vita per noi. Perché, Signore, continuiamo a chiudere il nostro cuore al tuo progetto di vita? Perché nel viaggio della nostra esistenza non vogliamo spendere energie per seguire i tuoi insegnamenti, la tua chiamata, il tuo disegno che ci porta a spenderci per il bene degli altri gratuitamente? Perché non insegniamo più ai nostri ragazzi che la vita è un dono e non un banca? Perché non diciamo più loro che quanto hanno ricevuto devono impiegarlo e farlo fruttare attraverso le loro buone capacità a servizio di un’umanità distrutta e comandata da un’economia che non è più quella dell’amore, ma del tornaconto? Perché Signore? Perché?