Presentazione del Signore

2 febbraio 2019

Altro che “abbiamo faticato”: Maria ha fatto veramente fatica a digerire quanto il vecchio Simeone le disse. Come poteva infatti starsene tranquilla, quando sentì quelle parole: «Anche a te una spada trafiggerà l’anima»? Certamente sia Maria che il suo sposo Giuseppe non potevano dormire notti serene, se quella era davvero la volontà di Dio, perché una spada nel cuore non è di certo un bell’augurio. Cerchiamo infatti di metterci nei panni di quei due giovani, che dopo aver subìto, o accettato che dir si voglia, tutti i trambusti e le peripezie che Dio stava compiendo in loro, adesso si trovano anche ad aver a che fare con una profezia che non solo non comprendevano, ma che li ferisce profondamente. Ci capita spesso di avvicinarci alle giovani mamme e augurare loro ogni bene, complimentandoci per il bel bambino appena nato. Fosse anche lo facciamo per incoraggiare, allietarle, condividere la loro gioia. Tutto questo a Maria e Giuseppe non è successo: anziché trovare il nonno che si congratula con se stesso per aver messo al mondo una figlia o un figlio capace di aver dato i natali a così grande bellezza, si trovano un nonno che prende in braccio il bambino, come tutti i nonni, ma anziché complimentarsi con mamma e papà, dice loro: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». Invece di trattenere in un caldo abbraccio quel tenero bambino, come vorrebbero fare tutti i nonni (perché i nonni quando prendono in braccio i nipotini appena nati non solo non li mollerebbero più, ma li mangerebbero con gli occhi), anziché trattenerlo tra le sue braccia, si congeda da questo mondo: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Perché tutto questo? Qui, sì, è il caso dire: «Che fatica a comprendere tutto questo!». E come se non bastasse, ecco arrivare una donna, sì, una nonna che per anni e anni abitava nel tempio e vegliava e pregava. Anche lei si mise a parlare e profetare del bambino, proprio come fanno tutte le nonne che quando portano a spasso i loro nipotini li mostrano a tutti come ciò che di più prezioso hanno. Anche per Anna si era compiuto il tempo della salvezza. Anche per lei, come per Simeone, era giunto il tempo di congedarsi da questo mondo perché non occorreva più aspettare la salvezza, poiché la salvezza era quel Bambino, la salvezza è Gesù Cristo. Forse anche noi facciamo fatica a comprendere tutto questo mistero, ma la lettera agli Ebrei ci spiega bene ciò che i vegliardi hanno espresso con le loro parole e i loro gesti. Troviamo scritto: “Dio infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo”. È quanto mai tenera e sublime l’espressione che ci mostra quanto Dio ha a cuore più l’uomo che i suoi angeli. Se dovessi usare ancora il paragone con i nonni di oggi, mi viene da pensare che come loro hanno più a cuore i nipoti che non i figli, così Dio ha più a cuore noi, uomini, fragili e peccatori che non i suoi angeli. E se facciamo fatica a comprendere questi grandi misteri, lasciamoci illuminare non solo dai ceri che abbiamo tra le mani, ma dalla parola stessa di Dio, che ci dice tutto l’amore di questo Padre per l’umanità, tanto da essere anche lui come i nostri nonni: non solo non si prende cura degli angeli ma degli uomini, ma addirittura ha amato così tanto l’uomo da mandare a noi nella pienezza del tempo il Cristo suo Figlio per espiare, cioè per prendere su di sé, il nostro stesso peccato. Cosa c’è ancora da capire? Quanta fatica dobbiamo fare ancora per comprendere queste cose? Dio per noi si è fatto uomo per salvarci dal peccato e dalla morte e quella candela che ora guardiamo con i nostri occhi, diventa prefigura di quella luce che risplenderà nella notte di Pasqua irrompendo nel buio, perché Cristo, nostra Pasqua, ha rotto i sigilli della morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale. Sì, c’è poco da faticare per capire: qui c’è solo da dire con il vecchio Simeone: Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi, accecati dalle tenebre del peccato e della morte, hanno ora visto la luce nuova della tua salvezza, Cristo tuo Figlio e nostro Signore, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.