V del tempo ordinario C

10 febbraio 2019

L'inadeguatezza del profeta è la stessa dell'apostolo. Isaia dice: «Ohimè, sono un uomo dalle labbra impure e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito», mentre Pietro esclama: «Allontanati da me, Signore, perché sono un peccatore». Di fronte alla chiamata del Signore ad essere profeti e discepoli, annunciatori della parola e pescatori di uomini, chi non si sente inadeguato? È certamente un compito assai importante e che richiede impegno, costanza e coerenza. Chi di noi può affermare di avere queste caratteristiche per essere un buon profeta e un ottimo discepolo? Nel nostro cuore e sulle nostre labbra non possono che affiorare le stesse parole e i medesimi sentimenti del profeta e dell'apostolo. Tuttavia, il Signore, si rivolge a noi come si è rivolto al profeta: «Chi manderò e chi andrà per me?». Siamo strumenti nelle mani di Dio, chiamati ad annunciare una parola che non è nostra, ma Sua; siamo chiamati non per i nostri meriti, ma solo per grazia di Dio a fare da tramite di ciò che a nostra volta abbiamo appreso. Ecco che San Paolo, ben cosciente dei suoi limiti e delle sue fatiche, scrive ai primi cristiani: A voi ho trasmesso ciò che anche io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture e che apparve a Pietro e quindi ai Dodici. Paolo trasmette una fede che non ha acquistato per sua volontà, ma che ha ricevuto in dono; successivamente ha trasmesso la fede e con la grazia di Dio l'ha vissuta fino in fondo, diventando egli stesso un esempio di testimonianza coerente con quanto professava e trasmetteva. Chi manderò e chi andrà per me? Questa domanda che Dio pone a ciascuno di noi può certamente incuterci timore, paura, senso di inadeguatezza. Tuttavia il Signore vuole concederci fiducia, perché sa bene che mentre ci chiede questo compito così importante, quale l'essere pescatori di uomini trasmettendo la fede ricevuta, diventiamo capaci di conformare la nostra vita al Vangelo che proclamiamo in parole e in opere. L'urgenza, dunque, non è quella di conoscere il Vangelo a memoria o di ritenerci adeguati o no, ma di lasciarci plasmare dal Vangelo, lasciare cioè che il Vangelo diventi un tutt'uno con noi, perché l'annuncio diventi poi spontaneo. Allora non avremo paura davanti alla chiamata del Signore ad essere catechisti, educatori in mezzo ai ragazzi, annunciatori della parola di Dio nelle nostre case, perché non servirà conoscere alla perfezione il Vangelo, ma accogliendo la chiamata del Signore, pian piano ci uniformeremo a questa e sarà il Signore stesso a parlare in noi, attraverso la nostra vita e il nostro esempio. Forse ci verrà da dirgli ogni giorno: «Signore, allontanati da me, che sono un peccatore»? Ma proprio per questo Dio si è fatto uomo, per venire incontro alla nostra fragilità che ci inclina a peccare. Proprio perché è morto e risorto per liberarci dal peccato e dalla morte, vuole anche convertirci a sé. Nessuno nasce perfetto, ma tutti siamo in cammino verso la perfezione. Nessuno nasce ingegnere, o architetto, nessuno panettiere o pasticcere, nessuno padre o madre, nessuno sacerdote o religiosa: tutti, rispondendo alla nostra vocazione, diverremo man mano capaci di svolgere bene la nostra mansione e la nostra missione. Chi impara a cucinare, mette in conto che quanto prepara all'inizio non sarà presentabile e nemmeno mangiabile, ma con il tempo perfezionerà le dosi e la tecnica, per un pranzo degno delle migliori tavole. Un uomo e una donna all’inizio non sono capaci di fare i genitori, ma non per questo non devono mettereal mondo una vita nuova: divenuti padre e madre impareranno ad esserlo, malgrado o proprio grazie alle loro inadempienze, ai loro sbagli, ai loro fallimenti e alle loro fatiche. Chi sente la vocazione sacerdotale o religiosa, non deve spaventarsi pensando di non essere all'altezza, ma confidando nello Spirito che parla al nostro cuore, potrà comprendere se quella è la giusta direzione e una volta divenuto sacerdote o religiosa, non può che lasciare agire Cristo in sé che perfezionerà la sua vita. Io stesso posso dire di essere il primo peccatore e più di chiunque di non essere all'altezza del ministero che ricopro: e ne sono pienamente cosciente. Molti potrebbero sottolineare la mia incapacità di essere sacerdote o di guidare una comunità. Hanno ragione, ma non mi curo di questo, non per orgoglio e supponenza, ma perché ogni giorno cerco di mettermi nelle mani del Signore e come Pietro e gli altri accetto di seguirlo, pur consapevole dei miei limiti e dei miei sbagli. Chi pensa di non essere all'altezza di qualche vocazione per paura di faticare troppo, in realtà non è all'altezza della vita che Dio dona, perché qualsiasi cosa nella vita si scelga richiede fatica, e sarà proprio la fatica a renderci capaci di ciò che il Signore ha disegnato per ciascuno. E dentro qualsivoglia vocazione, ognuno è chiamato ad essere pescatore di uomini e profeta di Dio: costa fatica, coraggio, costanza, consapevolezza, coerenza, ma nulla di tutto ciò ci potrà impedire di realizzare il sogno di Dio. «Chi manderò e chi andrà per me, ci chiede Dio. Non potremo che rispondere: «Signore, ho faticato nella vita, a volte sono rimasto deluso, sono incapace e mi sento inadeguato, ma sulla tua parola, eccomi!Mi fido di te: tu manda me!». “E non preoccuparti mai di quanto il libro sia lungo.L'unica cosa che conta è che tu lo renda una buona storia” (cit.).