IV di Quaresima C

31 marzo 2019

Con che occhi guardiamo questa famiglia? Un padre, due figli. Forse siamo troppo abituati a puntare il nostro sguardo sul figlio più piccolo, che adolescente più che mai, vuole liberarsi del padre e di tutto ciò che sembra soffocarlo. È il classico adolescente di oggi che per farsi notare e credersi grande fa il trasgressivo ponendosi contro tutte le istituzioni che dedicano il loro tempo e le forze per la buona crescita di mocciosi scapestrati che vogliono la loro libertà. Poche volte puntiamo la nostra attenzione sul figlio maggiore, il giovane di oggi, che sentendosi maturo, si mette sulle difensive pretendendo dal padre un trattamento degno della sua altezza di figlio primogenito, capace di badare a se stesso e in grado di prendere qualsiasi decisione, dimenticandosi di avere un padre amoroso, scambiandolo per un padrone esigente. E se per una volta guardassimo al padre e ai suoi atteggiamenti? Scopriremmo la caratteristica più sorprendente. È un uomo forte, che soffre per i suoi figli che hanno deciso di metterlo da parte, soffre perché vorrebbe essere una guida o una bussola che indichi loro la rotta giusta. E invece sembra proprio aver sortito l'esatto contrario. Ma questa caratteristica che egli nasconde in sé, lo porta a non demordere. Chissà quanto tempo avrà passato sulla porta di casa aspettando il ritorno dell'adolescente trasgressivo, chissà quante pacche sulle spalle avrebbe voluto dare al viscido giovanotto per incoraggiarlo. Quanta costanza c'era in quel padre, che anziché lasciare che i suoi figli si perdessero, ha sempre fatto di tutto per donare loro la possibilità di crescere, di riconquistare una nuova dignità, quella persa nel vuoto della vita insulsa e insensata o in una vita fatta di lavoro ma non di relazione filiale. La costanza di quel padre è straordinaria: anche di fronte a un figlio, che torna solo perché ha sperimentato la fame e l'indigenza, è pronto al perdono; di fronte a un figlio che non ha mai instaurato un buon rapporto con lui è pronto a farsi in quattro. Non si arrende questo padre, al contrario di molti giovani genitori di oggi, che pur di non mettersi contro i figli acconsentono a tutto e non li aiutano né a crescere né a trovare la giusta strada, lasciandoli vagare per vie alternative di presunta libertà che si rivelano farlocche. La costanza di quel padre che vuole riscattare i propri figli è la stessa del pescatore che getta le sue reti: egli non lo fa per hobby, ma per lavoro, per mangiare, per vivere. Il pescatore non si accontenta di uscire in mare ogni tanto, ma con costanza tutte le notti, a volte sfidando il freddo, le mareggiate, il vento stesso, perché lui e la sua famiglia possano godere della bontà di quel pesce che senza la costanza non sarebbe portato sulle tavole degli uomini. Nel cammino vocazionale, alla  ricerca della vera vocazione, i nostri adolescenti devono lasciar perdere le loro trasgressioni ed essere costanti nel gettare le reti per una vita che sia soddisfacente e soddisfatta, non vissuta da allocchi che vagano qua e là come barche sbattute contro gli scogli dalla furia del vento e dalle sciocchezze del mondo; i nostri giovani non devono pensare di essere arrivati alla soluzione dell'algoritmo della vita, ma devono essere costanti nell'osare sempre più e sempre meglio per conoscere e realizzare i grandi progetti che Dio ha su di loro, interrogandosi sempre in ogni momento su cosa il Signore si aspetta dalla lorovita; i genitori non devono abbandonare la costanza di continuare ad essere quelle guide sicure, a costo di incontrare fatiche e resistenze, incomprensioni e apparenti abbandoni. Gettare le reti implica costanza, la costanza implica fatica, la fatica porta a buoni risultati. Non gettiamo queste reti come si getta una spugna. Gettiamo le reti per una pesca abbondante, che dona buone soddisfazioni, che permette di trovare la giusta direzione, fosse anche quella sacerdotale e religiosa. Una direzione che pochi scelgono, perché impegnativa, perché richiede costanza e in questo mondo la costanza sta diventando una cosa tanto preziosa perché tanto rara, soprattutto nei nostri adolescenti e giovani. Se penso al mio papà e alla mia mamma non credo di ricordare mi avessero detto di rinunciare al seminario; forse mi avevano consigliato, su suggerimento del mio curato, di terminare le scuole medie nel mio paese, così da maturare la scelta del seminario perché fosse matura. Magari non si sono mai azzardati a incoraggiarmi, perché stavano a vedere che passi muovevo. Ma una cosa ha caratterizzato anche loro: la costanza di seguirmi passo passo in questa mia vocazione che li ha spremuti per il tempo a me dedicato, per l’impegno economico, per la fatica di capire dove arrivasse la barca della mia vita; ma spero li renda sempre felici, come lo sono io.