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III di Pasqua C

5 maggio 2019

Domenica della Riconciliazione

Poveri apostoli: non ce la facevano proprio a cambiare vita. La gioia per la Risurrezione che li aveva pervasi la sera di Pasqua incontrando il Signore Risorto, sembrava pian piano ridursi, come si riduce il dolore man mano la ferita o il male guarisce. Sembrava che la visione del risorto fosse solo un vaneggiamento e che persino quell’immersione nel costato di Cristo da parte di Tommaso otto giorno dopo la Risurrezione non avesse prodotto una conseguenza positiva in loro. Tornano in Galilea, tornano alla loro vita, tornano a pescare. Ma anche quella notte non presero nulla. Erano davvero tornati all’inizio della loro missione: senza il Signore non si può raccogliere nulla nella rete della vita; senza il Signore nel cuore ogni progetto non resta che un’illusione; senza il Risorto nella vita dell’uomo ogni esperienza si tramuta in delusione. Sì, perché solo con il Signore vivo e risorto la nostra vita acquista un senso più alto; solo con lui ogni nostro progetto acquista uno spessore più elevato; solo con la gioia di chi sa di non essere solo, ma di avere il Signore dalla sua parte, ogni vocazione diventa realtà. E qual era la realtà alla quale i discepoli erano stati chiamati? Quella di essere non più pescatori di pesci, ma di uomini. Rileggendo questo avvenimento si sente nelle parole di Pietro una sensazione di ritorno alla normalità, una fiacchezza di fondo: «Io vado a pescare»; e la risposta degli amici non si è fatta attendere: «Veniamo anche noi con te». Pietro, il leader della compagnia, inconsciamente li trascina alla vita quotidiana, li porta a fare ciò che da sempre facevano, quasi dimenticandosi che il Signore li aveva chiamati e li chiamava ancora a qualcosa di ben più importante. Anche noi oggi, talvolta presi dalle nostre desolazioni, ci lasciamo trascinare nella vita quotidiana spesso senza porci troppe domande: i giovani si lasciano influenzare dalla moda; gli adolescenti si lasciano schiavizzare dal bullismo fino a portarli a cose impronunciabilicome quelle apprese dai telegiornali, quali torture non solo ai coetanei più indifesi, ma persino a uomini deboli; i ragazzetti si lasciano viziare dai consensi degli adulti che non fanno mancare loro nulla, soprattutto il superfluo; e così ci troviamo inun mondo pieno di leader che portano verso una pesca infruttuosa, fallimentare, nulla. Non sottovalutiamo questi particolari, perché sono proprio i primi seguaci di Cristo che ci insegnano come senza di lui il mare più bello si può rivelare il più privo di vita e inquinato. Solo il discepolo amato, colui che aveva posato il suo capo sul cuore di Gesù nell’ultima cena per chiedergli chi fosse il traditore, solo lui, che con la Madre è rimasto sotto la croce nel momento della morte, solo lui riesce a riconoscere il Signore risorto sulla riva di quel mare. Solo chi pone la sua vita nella vita di Cristo, chi si fida di lui, chi si sente amato e sa amare Cristo avrà uno sguardo migliore, più limpido, capace di guardare in faccia alla vita propria e dei propri figli con occhi diversi, saprà riconoscere Cristo nella vita di tutti i giorni anche nei momenti del fallimento o mentre la vita stessa sembra non offrire nulla di buono. Solo il giovane, l’adolescente e il ragazzo che conosce a fondo Gesù e si lascia guidare da lui saprà riconoscerlo e saprà vederlo presente sulle rive delle proprie scelte e delle decisioni della vita, indicandolo anche agli amici, ai coetanei, ai compagni di gioco, perché sa bene che solo con il Signore sarà al sicuro. Ed ecco la meraviglia dell’incontro: Pietro non si trattiene sulla barca; ancora una volta molla tutto e si getta in mare per raggiungere il Signore: forse si ricordava che non doveva piùpescare pesci, ma uomini, forse aveva ancora il rimorso di essere scappato via da lui e averlo rinnegato tre volte, forse stava ancora cercando di capire la sua vera vocazione e si precipita dal Signore perché possa confermarlo nella fede e nella chiamata. Che meraviglia il tuffo di Pietro: nessun campione di nuoto saprebbe tuffarsi meglio di Pietro. Non ha guardato alla perfezione del tuffo, né all’irrisoria altezza che c’è tra la barca e il mare, perché sapeva già di non essere perfetto e non contava essere un campione di tuffi, ma ciò che premeva a quell’uomo era arrivare al più presto dal suo Signore. Quanti ragazzi, adolescenti e giovani sarebbero degli ottimi tuffatori se seguissero l’esempio di Pietro. Quanti genitori, preti e adulti educatori sarebbero campioni di tuffi se seguissero lo slancio di Pietro. E poi davanti al Signore ecco la sorpresa: «Pietro, mi ami più di costoro?». Che schiaffo! Forse Pietro pensava che il Signore si sarebbe dimenticato del suo rinnegamento? Forse pensava che dopo la marachella non gli avesse detto niente? Forse pensava che avrebbe chiuso uno o due occhi? Gesù risorto, lasciandoci il sacramento della Riconciliazione, non ci dice che il perdono è far finta di niente, ma che solo riconoscendo il proprio errore si può risorgere a vita nuova, si può correggere lo sbaglio, si può avvertire la grazia di Dio che ci avvolge e ci risolleva. L’esperienza del perdono, se non porta a far finta di niente, è quanto mai educativa: non solo corregge, ma rafforza nella fede, nell’amore, nella vita. Solo così, rinati a vita nuova per mezzo della misericordia, potremo anche noi come Pietro e gli altri seguire il Signore per lasciare le reti materiali, e diventare pescatori di uomini, donando il perdono che a nostra volta desideriamo ricevere. È stato per tutti un grande riavvicinamento al Signore, perché questa è la Confessione: sentire la gioia di nuotare verso di luiper essere riabbracciati dopo l’esperienza amaradell’essersi allontanati; sentire la gioia di essere pescati dalle mani del Signore per diventare a nostra volta pescatori di uomini.