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XII del tempo ordinario C

23 giugno 2019

Finché si tratta di dire cosa pensano gli altri, allora è facile; quando si tratta di dire la propria opinione o la propria impressione diventa un po' più impegnativo perché si tratta di esporsi e metterci la faccia. Questo avviene in paese, tra una chiacchiera e un pettegolezzo, così come avviene quando di fronte al capo ci viene chiesto un parere sulla conduzione dell'azienda. Il pettegolezzo non ci espone così tanto, perché ci si maschera dietro a quanto pensa la moltitudine, mentre quando si tratta di metterci la propria identità ci si tira indietro. Mi è capitato non molto tempo fa di ricevere una telefonata da parte di una persona, piuttosto anziana, a sentire dalla voce, che muoveva alcune critiche citando anche persone specifiche su fatti specifici che non voglio rendere noti. Forse, penso, qualche malalingua l'aveva stimolata a chiamarmi, pensando di trovare terreno buono per le sue richieste. Quando le ho chiesto chi fosse e con chi parlavo, mi disse che era una cittadina. Al che le ho chiesto il nome e chi fossero quelle persone che sostenevano la sua causa. Lei continuava a definirsi una cittadina e quelle persone, mi disse, era tutti. Molto vaga la cosa. Insistendo le dissi di presentarsi da me con tutti per capire e motivare l'argomento in questione e che se non svelava chi fosse io non avrei continuato la trattativa. Ebbene, la telefonata si interruppe subito: la signora, scocciata per la mia insistenza a non restare nell'anonimato, riagganciò e io non vidi né lei e neppure nessuno di quei tutti. Tutto questo per dire come sia facile nascondersi dietro ciò che pensano tutti, perché effettivamente tutti e nessuno risultano la stessa cosa: tutti hanno da dire ma nessuno si presenta. Così è avvenuto nel dialogo tra Gesù e gli apostoli: dire cosa pensassero di lui le folle o cosa si dicesse in paese risultava cosa assai semplice, ma quando Gesù chiese loro di uscire allo scoperto e metterci la faccia in prima persona, chiedendo loro: «E voi chi dite che io sia?», solo Pietro seppe professare la sua fede, non secondo i pensieri di tutti, ma secondo quanto Dio gli stava ispirando: «Tu sei il Cristo di Dio». E se il Signore ci ponesse la stessa domanda, cosa gli risponderemmo? Chi è per me Gesù Cristo, chi è per ciascuno di noi? Giungeremmo come Pietro a professare di persona la nostra fede o ci maschereremmo ancora dietro al sentito dire per paura di esporci troppo e giustificare il nostro essere qui in chiesa oggi? Pietro sarà posto a capo degli apostoli e il Signore, dopo questa risposta, gli affiderà la sua Chiesa, ma non perché Pietro fosse il più bravo, il più perfetto, il più capace di portare avanti una barca così grande, ma solo ed esclusivamente per quella fede che aveva professato uscendo dalla logica di ciò che pensano gli altri, manifestando in prima persona la propria fede. Di fatto, però, non basta dire che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio: la professione della fede implica la sequela e la sequela significa che «se qualcuno vuole venire dietro a me – ha detto Gesù – rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà». E rinnegare se stessi non è cosa da poco, se solo abbiamo un po' di orgoglio che ci scorre nel sangue. Rinnegare se stessi significa passare attraverso la morte per risorgere a vita nuova, come aveva annunciato Gesù ai suoi. Rinnegare se stessi significa far morire in noi quella smania di primi posti, di pensare che gli altri non valgano nulla rispetto al nostro operato, che la bravura appartiene solo a noi in ciò che facciamo, mentre quello che fanno gli altri non conta nulla. Rinnegare se stessi significa mettere al primo posto il Signore e il suo Vangelo e non i propri interessi. Solo così testimonieremo il Vangelo seguendo il Maestro e non la nostra persona. Siamo disposti a rinnegare noi stessi, i nostri pensieri, i nostri orgogli per uscire da quello stupido anonimato e seguire davvero il Signore sulla via della croce, sulla via del Vangelo, anziché fingere di seguirlo andando dietro più ai pettegolezzi che non a lui? Siamo disposti a uscire dall’anonimato di una fede comune per rendere ragione a chi ci sta accanto della fede che è in noi, senza paura di giudizi, senza vergognarci del Vangelo, senza la preoccupazione di quello che pensano gli altri se siamo di Cristo e seguiamo i suoi comandi, mostrandoci gioiosi del nostro essere cristiani?