III di Avvento A

15 dicembre 2019 

«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?», chiede il Battista a Cristo. E il Signore domanda alla folla: «Cosa siete andati a vedere?». Questioni che potremmo riassumere con una sola domanda: cosa stiamo cercando? O meglio: Chi stiamo cercando? Sentiamo dentro di noi la presenza del Signore che viene a noi, che entra nella nostra vita, nella nostra storia, nella nostra quotidianità? Lo sentiamo presente nella vita di coppia, nella vita familiare, nella relazione d'amore tra due giovani? Sentiamo la presenza di Dio nella vita di nostro marito, di nostra moglie, dei nostri figli? Ci accorgiamo che Lui cammina con noi, agisce in noi, si mostra attraverso la nostra relazione? Oppure quella domanda del Battista: sei tu o dobbiamo aspettarne un altro?, manifesta un dubbio che è anche dentro di noi a riguardo della presenza di Gesù nelle nostre storie. Le storie: i giovani oggi, nel loro linguaggio moderno ed “erudito”, per dire quello che una volta si diceva “attaccare bottone con qualcuno”, dicono: “tirare storie”. Ma che storie si tirano? Forse non è del tutto sbagliata l'espressione se pensiamo che la relazione tra uomo e donna è l’insieme di due storie che si uniscono, si intrecciano. Ma per fare una treccia occorrono tre fili. E allora è cosa buona che un giovane e una giovane si tirino storie, è cosa buona se pensano di intrecciare le loro storie, ma perché quella treccia sia solida ha bisogno di tre fili: l'uomo, la donna e Dio. Solo se le coppie di sposi o fidanzati riconoscono Dio come quel filo d'oro che intreccia al meglio la loro storia, la loro vita, allora quei fili non saranno come quelli del burattinaio che agita i suoi fantocci a suo piacimento, come il mondo di oggi agita i fantocci di oggi che seguono la moda del tirare storie come i fili di un burattino, scambiando l'altro come un pupazzo da portare verso i propri desideri, piaceri e sensazioni. Che bello sarebbe se i ragazzi di oggi, adolescenti e giovani, che intendono iniziare e vivere la relazione con una persona non si lasciassero tirare come burattini e non tirassero le fila della vita propria e altrui come fossero quelle di una marionetta, seguendo un copione che la società detta, che i coetanei si aspettano e che il mondo applaude; che bello se potessero comprendere che una storia può essere abitata da Dio fin da quando iniziano a provare un sentimento per l'altra o per l'altro. Che bello se passasse da questo mondo l'immagine del burattinaio che inizia e finisce lo spettacolo a suo piacimento. In una società fragile come la nostra, dove la relazione non è solida e spesso si sta a guardare come va, o come butta – sempre secondo il linguaggio moderno – abbiamo bisogno di lasciare che Dio non solo intrecci le nostre storie, ma riempia le anfore dei nostri cuori e dei cuori dei nostri giovani di costanza, come ci ha suggerito l'apostolo Giacomo. Siate costanti, ci ha detto, e di costanza ne ha davvero bisogno ogni relazione, soprattutto quella matrimoniale, soprattutto in questo tempo dove le relazioni nascono e terminano in base a come va la situazione. Questo non solo nel mondo giovanile, ma anche adulto, quando la costanza è sinonimo di fedeltà: fedeltà al proprio marito, alla propria moglie, ma anche fedeltà ai propri figli quando si tratta di crescerli in risposta a quella domanda che ad ogni genitore viene posta nel giorno del battesimo del proprio figlio: «Siete disposti a crescerlo secondo la volontà di Dio e gli insegnamenti di Cristo e della Chiesa?». Mai nessun genitore si è opposto, eppure assistiamo oggi a un lascia passare, anzi a un “lasciam perdere”. Ecco, il lasciar perdere è l'esatto opposto della costanza e questo avviene quando ci arrendiamo anche nei confronti dei figli e non seguiamo la loro educazione e formazione cristiana. Perché? Forse ci manca costanza, ci manca la tenacia, la forza che era propria del Battista nell'annunciare la conversione dei peccati e la venuta del Messia, ma è anche la tenacia e la costanza della donna del presepio che ogni giorno e più volte al giorno, caricate le braccia delle sue anfore, si reca alla fontana per portare a casa l'acqua per dissetarsi, cucinare e lavare. Senza quell'acqua non vivrebbe e noi, le nostre coppie di sposi, le nostre famiglie, siamo così sicuri che senza Dio continuerebbero a vivere? Forse quella donna rappresenta bene gli adulti, gli sposi, i genitori che sono chiamati a riempire la propria vita di costanza per portare l’acqua buona a casa, ovvero ai propri figli, perché crescendo imparino cosa significhi davvero lasciare che le nostre storie siano intrecciate con quella di Dio. E questo avviene a partire dalla costante preghiera quotidiana, dalla partecipazione frequente alla Messa nella quale si attinge l’acqua buona che disseta, non il nostro corpo, bensì il nostro cuore, la nostra vita, la nostra storia fatta di relazioni. Ma serve costanza e pazienza, gioia e tenacia: serve l’amore e, con l’aiuto di Dio, anche l’“anfora” più pesante, sarà meno dura da portare.