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XII del tempo ordinario A

21 giugno 2020

È facile covare nel cuore l’attesa di uno scivolone, di una caduta, di un fallimento da parte di un nemico, di chi ci ha fatto del male o di chi non sopportiamo. Non vediamo l’ora di godere delle disgrazie altrui, se questo altrui è di inciampo ai nostri progetti, alle nostre ambizioni, al nostro volerci fare strada per un successo economico o sociale. Oppure, stando dall’altra parte, ci si sente calunniati, facendo l’esperienza del profeta Geremia: “Sentivo la calunnia di molti: «Terrore all’intorno! Denunciatelo! Sì, lo denunceremo». Tutti i miei amici aspettavano la mia caduta: «Forse si lascerà trarre in inganno, così noi prevarremo su di lui, ci prenderemo la nostra vendetta». Che strano mondo il nostro: ci diciamo cristiani, seguaci di Cristo, devoti al suo Cuore straripante d’amore, eppure il nostro cuore parla di vendetta, di rivalsa, di fallimento, altrui ovviamente. Siamo strani, perché con le labbra vogliamo dimostrare di essere vicini a Dio traendolo dalla nostra parte, ma il nostro cuore è lontano dal suo: aspettiamo la caduta degli altri cercando di restare in piedi noi.

La caduta: quale? C’è una caduta che tutti ci accomuna: quella del peccato. È infatti a causa del peccato che il nostro cuore è lontano da Dio e stando lontano da Lui pensiamo e agiamo al suo opposto. Aspettiamo la caduta degli altri e non ci accorgiamo quanto siamo già caduti in basso noi, schiacciati sotto il peso del peccato che ci porta a invidiare gli altri, ad esserne gelosi, desiderando il fallimento altrui per una rivincita e una rivalsa. Ma dalle nostre cadute sotto il dominio del male, si fa incontro a noi il Signore con la sua grazia e la sua misericordia, poiché “il dono di grazia non è come la caduta – ci dice l’apostolo Paolo –: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti”. Non c’è niente da aggiungere: il male ci porta a cedere e a cadere nelle sue morse diventando operatori di male e capaci di attendere la caduta altrui, ma di fronte alle nostre cadute Dio, da buon padre, viene in nostro aiuto e, con il suo perdono e la sua misericordia, ci prende per le braccia e ci risolleva, ci fascia le ferite e ci invita ancora a riprendere il nostro cammino. Quante volte questa scena l’abbiamo vissuta in prima persona, vuoi perché da piccoli ci siamo sentiti risollevare dalla tenerezza dei nostri genitori, vuoi perché, da genitori o fratelli maggiori, abbiamo aiutato un nostro figlio o fratello a rialzarsi dopo un capitombolo. E Dio non fa altro con noi. Siamo nelle sue mani: perché ci ostiniamo a inciampare negli ostacoli che il Maligno pone sulla nostra strada e ad ogni caduta siamo solo capaci di dar colpa ad altri anziché vedere dove abbiamo appoggiato male il nostro piede? Facciamo così perché gli altri ci fanno paura. Temiamo che ci portino via qualcosa o qualcuno di nostro e fatichiamo a vederci inseriti nella Chiesa come in una famiglia. Sembra quasi che abbiamo paura che ci tolgano il pane dalla bocca. Sì, non possiamo essere troppo ideologici: qualche volta capita di trovare chi cerca la nostra rovina o per sottrarci ciò che amiamo e che conta nella nostra vita, ma se ciò che conta e amiamo lo deponiamo nelle mani di Dio come fosse un tesoro preziosissimo, di chi e di cosa aver paura? Gesù stesso ci ha raccomandato: «Non abbiate paura degli uomini. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nel fuoco inestinguibile e l’anima e il corpo».  È il Maligno che dobbiamo temere, perché egli ci sottrae la nostra dignità di persone che sanno amare, che sanno fidarsi, che sanno vedere il bene ed operare bene, che sanno farsi prossimi verso chi ha bisogno di aiuto e non solo capaci di mettere il bastone tra le ruote. È il Maligno che ci induce a cadere e noi, senza accorgercene, ci mettiamo alle sue dipendenze, diventando abili vendicatori e giustizieri di noi stessi.

Mettiamoci un po’ nelle mani di Dio, come il bambino nelle braccia del padre e della madre; il Signore ha cura di noi che valiamo ben più di due passeri; Egli ci ha a cuore e non permetterebbe mai che ci venga sottratto ciò di cui abbiamo bisogno e che amiamo intensamente, se è un bene per noi. Egli, proprio perché nostro Padre, desidera per noi una vita votata al bene e non al male, realizzata e non fallita, piena di soddisfazioni e non soffocata dal male. Perché dunque ci ostiamo a valere più davanti agli uomini che non essere coscienti di contare molto davanti a Dio? Perché cerchiamo il nostro successo umano comprando il consenso degli altri o eliminandoli con le nostre maldicenze piuttosto che piacere davanti a Dio e crescere nella sua grazia?

Mettiamoci nelle mani di Dio e non avremo bisogno di prevalere sugli altri. Mettiamoci nelle mani di Dio e riconosciamolo come unico e sommo Bene che ci porta a bene agire verso i fratelli e a dire bene di lui agli altri e degli altri, perché «chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli – dice il Signore – e chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli». Così facendo eviteremo di cercare la gloria personale a scapito di altri, ma la gloria dei cieli per la salvezza nostra e di tutti.