XXVII del tempo ordinario A

4 ottobre 2020 

La storia della vigna sembra non finire mai. Prima il padrone chiama gli operai per lavorare in questa vigna e dopo averne chiamati un bel numero a tutte le ore del giorno si trova a dover fare i conti con le proteste di quelli della prima ora perché hanno ricevuto tanto quanto quelli dell’ultima; poi manda i figli a lavorare nella sua vigna, ma uno rifiuta, poi pentitosi ci va, mentre l’altro accetta e poi, per chissà quale motivo, in quella vigna per lavorare non ci arriva. E adesso quella vigna si trova ad essere invasa da vignaioli omicidi che uccidono i lavoratori dediti a coltivare la buona uva per un ottimo vino e dopo di loro anche il figlio del padrone di quella gloriosa vigna. Una storia un po’ intrigata, quasi da telefilm dei nostri tempi che fa sorgere in noi alcune domande.

Perché il padrone, uscito sulla piazza, ha continuato a chiamare lavoratori per la sua vigna? La risposta non è scontata e dobbiamo ritenere che essere chiamati fosse davvero un privilegio: quella vigna è bellissima e lavorarla procura gioia e soddisfazione, che sono la paga migliore a cui possiamo aspirare e di cui non c’è nulla di meglio che appaghi anche le fatiche. Lavorare in quella vigna è quanto mai entusiasmante e, anche se i pesi della giornata si fanno sentire, il desiderio di ritornarci il giorno dopo è grande. Perché allora ci sono molti e molti possibili operai che non vogliono lavorare in questa vigna? Perché molti ragazzi e giovani fuggono al pensiero di mettersi al lavoro in questa vigna? Forse perché il denaro sostituisce la gioia e la felicità che il padrone regala e il lavoro concede? O forse perché il vino buono che lì viene prodotto non è lo stesso che li fa sballare il sabato sera o in altri momenti della giornata? Sì, quel vino che in quella vigna viene prodotto non fa sballare la mente, ma scalda il cuore, perché è il vino che sulla mensa del padrone si fa sangue per noi e per la nostra vita; è il sangue del Figlio, quello che hanno ammazzato e che egli ha donato per la salvezza di ognuno.

E perché quei vignaioli hanno ammazzato il Figlio? Volevano in eredità la vigna? Che sciocchi: non sapevano che l’eredità di quella vigna è donata a chi la coltiva bene, a chi vi lavora con amore e con passione, a chi non cerca il suo interesse, ma il bene e il bello di questa vigna. Non sapevano che non c’era bisogno di devastare la vigna per avere l’eredità, perché l’eredità ci è stata data grazie al sacrificio del Figlio che, fuori dalla vigna, hanno ammazzato. Pensavano che uccidendolo avrebbero avuto la vigna e invece è proprio togliendolo di mezzo che hanno avuto, loro come noi, la possibilità di ottenere quell’eredità beata che il Figlio ci ha donato con la sua stessa vita.

Cosa farà il padrone di quella vigna? Lo sentiamo mentre canta il suo lamento:

«Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, invece, acini acerbi. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha prodotto acini acerbi? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia». E quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo.

Quanto bella era la vigna del Signore e che cosa lo ha portato a distruggerla, così che non da più uva buona? Forse la nostra incuria, la nostra malvagità? Forse la nostra non voglia di lavorare in quella vigna o la bramosia di accaparrarcela per fare della vigna del Signore un terreno a nostro uso e consumo che ci renda profitto da intascare? O forse l’ambizione di possederla come fosse un privilegio, dimenticandoci che il privilegio è prendersene cura senza possedere ciò che è di Dio?

È furibondo il Signore verso chi non ha cura della sua vigna. È furibondo il Signore verso chi vuole impossessarsi della sua Chiesa non per servirla ma per trarne profitto. Il vero profitto da trarne è la ricompensa che Egli dà, per questo chi vuole maltrattarla, possederla, o non vuole coltivarla sarà lasciato fuori da questa ricompensa, che sarà data ad altri i quali sentiranno il privilegio di servire il Signore e sentiranno la gioia di portargli i buoni frutti del proprio servizio e la soddisfazione sarà la paga che va oltre ogni aspettativa.

Che succederà? Darà la vigna ad altri vignaioli. Un po’ come il proverbio: chi va via perde il posto all’osteria. E altri subentreranno a noi e il privilegio non sarà più il nostro.

Maria, madre della Chiesa e delle missioni, custodisca questa vigna, ci doni di essere coltivatori buoni e capaci della comunità, perché la gioia di lavorare nella vigna del Signore si trasformi in una testimonianza missionaria a quanti ci incontrano ogni giorno e l’entusiasmo che trasmettiamo diventi chiamata per altri nuovi e appassionati lavoratori.