XXXII del tempo ordinario A

8 novembre 2020

O Dio, la tua sapienza va in cerca di quanti ne ascoltano la voce, rendici degni di partecipare al tuo banchetto e fa' che alimentiamo l'olio delle nostre lampade, perché non si estinguano nell'attesa, ma quando tu verrai siamo pronti a correrti incontro, per entrare con te alla festa nuziale.

Che strana cosa: anziché essere l’uomo che cerca la sapienza di Dio, è la sapienza di Dio che va in cerca dell’uomo. Sarebbe un po’ come dire che anziché essere l’uomo a cercare la cultura attraverso tutti i mezzi che gli consentono di acquisirla, sia la cultura che va in cerca dell’uomo, o anziché essere un giovane a cercare un libro in biblioteca, sia il bibliotecario a bussare porta a porta per cercare giovani disposti a leggere un libro intelligente. Strano! Eppure oggi come allora avviene questo: sembra proprio che l’uomo faccia fatica a cercare la sapienza e quindi Dio, datore di sapienza, si metta a cercare l’uomo per infondergliela, a patto che l’uomo acconsenta almeno di accoglierla ascoltando la voce di Dio.

Purtroppo oggi è un’arte quanto mai rara quella di ascoltare la voce di Dio. In questo nostro tempo più che la voce di Dio si sentono solo urla di protesta, parole di odio, grida di disperazione. E dentro questo frastuonosarà mai possibile ascoltare la voce di Dio? Servirebbe un po’ più di silenzio. Sì, ma non basta, perché c’è anche un silenzio che non permette di ascoltare Dio: è il silenzio dell’indifferenza, dell’apatia nei suoi confronti.

Assistiamo a una società che fatica a lasciarsi incontrare da Dio, una società che non desidera la sapienza, ma preferisce restare nell’ignoranza verso Dio, riempiendo la propria mente e le proprie parole di tutto fuorché di Dio. Conosciamo a memoria i decreti, non ci sfugge nulla del pallone, sappiamo a memoria ogni calendario sportivo e ci acculturiamo di quanto troviamo in rete,dove tutti vogliono dire tutto e il contrario di tutto. Sappiamo bene cosa dicono i virologi pensando che basti ascoltare qualche intervista per esserlo anche noi; i nostri ragazzi, mostruosamente attaccati ad un telefono, pensano che la vita venga da lì e si costruiscono il loro mondo, spesso avariato; noi adulti ci stiamo rimbambendo a forza di gareggiare a chi sa più degli altri in tuttologia, pensando sempre di essere dalla parte della ragione. E in tutto questo Dio che posto trova? Come fare per ascoltare la voce della Sapienza se non le diamo spazio, tempo, occasione? Viviamo in un mondo che poteva cambiare e invece peggiora sempre più, un mondo che poteva lasciar più spazio a Dio e invece si è chiuso sempre più in se stesso.

Se il contrario della Sapienza è la stoltezza, allora potremo leggere e rileggere la parabola delle dieci vergini e chiederci, ciascuno nel proprio cuore, a quale gruppo apparteniamo. Faremo parte di quelle cinque che con pazienza hanno aspettato lo sposo, anche se tardava, e una volta arrivato sono entrate con lui alle nozze? Oppure del gruppo delle cinque stolte che, visto il gran ritardo, si sono date alla pazza gioia, ai pettegolezzi per le vie della città, a cose di basso livello, che neanche si sono accorte che l’olio delle lampade si stava esaurendo? Anche per noi si sta esaurendo il tempo, anzi, non ce n’è più: o questo mondo torna a Dio o sarà la fine! Sì, la fine di un’umanità sapiente, la fine dei valori grandi della vita, la fine della cristianità fondata sul Vangelo, per lasciar spazio al niente, al vuoto, al relativismo, dove ognuno è impegnato a fare come meglio crede senza dare un senso a ciò che fa, se non per seguire la massa. È questo che vogliamo? Forse saremo come quelle cinque ragazze stolte (magari ce ne fossero solo cinque al mondo) che dopo aver passato mezza notte a gozzovigliare e a far le oche pretendono che il Signore le ascolti e le ammetta alla sua festa? Perché? Perché pretendiamo sempre che Dio ascolti la nostra voce e noi, al contrario, preferiamo ascoltare la voce del mondo senza dare importanza alla sua?

Chi si alza di buon mattino per cercare la sapienza non si affaticherà, la troverà seduta alla sua porta. Riflettere su di lei, infatti, è intelligenza perfetta, chi veglia a causa sua sarà presto senza affanni; appare loro benevola per le strade e in ogni progetto va loro incontro. 

Chi di noi si alza al mattino per cercarla, se appena alzati la nostra mente è già tutta presa dal programma della giornata? Chi di noi si alza al mattino pregando e,mentre spalanca le finestre al sole, apre il cuore a Dio con la preghiera? Chi di noi riflette sulla parola di Dio, se facciamo fatica ad ascoltarci a vicenda, perché troppo impegnati a difendere le nostre posizioni? Chi di noi incontra la sapienza per strada, mentre si reca al lavoro o cammina per via tra le cose di ogni giorno, se siamo più impegnati ad ascoltare pettegolezzi per gareggiare a chi ne sa di più? Eppure la sapienza di Dio, la sua Parola, è lì sulla porta, per entrare in noi quando usciamo e quando entriamo, perché in ogni ora e in ogni ambiente possiamo usufruirne e ogni nostro progetto, ogni nostra scelta sia ben guidata dalla Sapienza.

Diamo tempo a Dio e la nostra vita sarà sapiente, saporita, autentica. Alimentiamo le lampade della nostra esistenza con l’olio della sapienza e ne trarremo vantaggio per noi stessi, per le nostre famiglie, per il mondo intero. Abbandoniamo la stoltezza del tempo presente per entrare nel cuore di Dio e con stupore e gioia grande scopriremo il bello della vita che Dio ci ha donato. Non restiamo senza l’olio della sapienza come quelle vergini, non lasciamo senza il vino della saggezza (e non della sciocca euforia) le nostre tavole, le nostre case, le nostre famiglie, come avvenne per quella coppia di giovani sposini a Cana, ricordandoci sempre che la sapienza di Dio è splendida e non sfiorisce, facilmente si lascia vedere da coloro che la amano e si lascia trovare da quelli che la cercano.

In questo periodo abbiamo più volte puntato lo sguardo sui più giovani che in modo stolto non si prendevano a cuore la situazione pandemica boicottando le regole. È così ed è sempre stato così, nei giovani di ieri come in quelli di oggi: finché la vita non incontra la morte non ci si pensa troppo o per niente affatto. Allora la morte, acui abbiamo prestato attenzione in questo ottavario dei defunti, ci insegna molte cose, ci insegna ad essere saggi, ci permette di rivalutare la preziosità della vita, che è sacra. La morte non è un niente fino a che non la si incontra: essa ci fa paura quando la tocchiamo con mano. Ma, se da una parte ci aiuta a vivere la nostra esistenza in modo saggio, dall’altra non vogliamo, restare nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché dice san Paolonon siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti”.

Facciamo dunque morire in noi la stoltezza, per far sorgere in noi, già su questa terra, la Sapienza, che nell’eternità contempleremo faccia a faccia nel volto di Dio Padre.