X del tempo ordinario B

6 giugno 2021

 

È dalle origini del mondo che l’uomo continua a incolpare gli altri del male che compie. Adamo incolpò Eva ed Eva incolpò il serpente. È dalle origini del mondo che nessuno riesce a prendersi le proprie responsabilità e scarica la colpa sempre e solo sugli altri. Sorge allora la domanda che Dio ha posto all’uomo: «Dove sei?».

Dov’è, o uomo la tua dignità? Dov’è finito l’uomo, quello tutto ad un pezzo, che sa il fatto suo, quello che – diceva una pubblicità – non deve chiedere mai, perché basta a se stesso? Troviamo facilmente l’uomo che non ha bisogno di nessuno per essere all’altezza di ogni cosa, capace di tutto, ma incapace di assumersi le proprie responsabilità. È facile dar sempre la colpa ad altri, e se non ci si scaglia contro le persone è la società ad essere colpevolizzata, e se non è la società sono le istituzioni; come avvenne alle origini avviene anche oggi: quando non riusciamo a prenderci le nostre responsabilità siamo capaci di scaricare la colpa anche sul primo animale che passa. Insomma: vogliamo gli onori, ma non siamo capaci di assumerci gli oneri.

Certamente il serpente, figura del demonio che i conterranei di Gesù chiamavano Beelzebul, si insinua tra noi, si attorciglia sulle nostre caviglie e arriva dritto al cuore. Ma se pensiamo che basti scaricare la colpa sul demonio per sentirci apposto, allora stiamo andando nella direzione sbagliata. Non possiamo pretendere un mondo migliore, se nessuno accetta di riconoscere il proprio sbaglio e risolverlo. Non è andata infatti diversamente per Gesù: piuttosto che accogliere il suo Vangelo, la sua parola, i suoi insegnamenti, è bastato incolparlo di pazzia e la faccenda poteva ritenersi risolta. Ma la cosa più rilevante è che furono proprio i suoi parenti, i suoi familiari, quelli che più di tutti e prima di tutti gli avrebbero dovuto credere, anche solo per i legami di consanguineità, proprio loro lo denigrarono e andarono a prenderlo per sottrarlo alla folla.

Ed è proprio ai suoi che Gesù rivolse il suo discorso, quando gli riferirono che lo cercavano e lo stavano aspettando per portarlo via. A loro si rivolse con una domanda quanto mai pesante: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre». Chissà quale imbarazzo avrà colpito i familiari di Gesù, così disconosciuti in pubblico. Tra loro però c’era la madre, Maria, che non disse niente e sicuramente non avrebbe voluto dire una parola. Per vergogna? No: per discepolato. Maria era l’unica che sapeva benissimo cosa stava compiendo Gesù, d’altronde era stata lei a Cana di Galilea a incitare il figlio a manifestare la gloria di Dio,attraverso il segno dell’acqua mutata in vino. Maria, in mezzo alla folla divisa tra chi lo ascoltava e chi lo accusava di pazzia, non disse nulla, perché era ed è colei che sa bene che il discepolo ascolta e non ribatte, si lascia ammaestrare senza prevalere, si mette in umile atteggiamento ricettivo e mai arrogante ed espansivo.

Maria ha da insegnarci qualcosa: l’essere discepoli non porta a dire che il Vangelo è impossibile da seguire solo perché è esigente, scaricando così la colpa sul Cristo che l’ha trasmesso, ma ci insegna la costanza di apprendere con responsabilità, faticando per una più seria conversione. Solo così comprenderemo le parole dell’apostolo Paolo che scrive: Fratelli, animati da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: "Ho creduto, perciò ho parlato", anche noi crediamo e perciò parliamo. Perché parliamo? Parliamo perché abbiamo ascoltato e ciò che abbiamo appreso lo testimoniamo con convinzione. E cosa testimoniamo? Il cuore della nostra fede, ovvero che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Non potremmo infatti credere se prima non ci mettessimo in atteggiamento di ascolto; non potremmo annunciare il Vangelo se prima non avessimo creduto in Cristo; non potremmo testimoniare Cristo se non mettessimo in pratica il Vangelo da lui appreso.

Siamo chiamati ad essere credenti credibili, non di quelli che mettono in pratica la parola del Vangelo che più fa comodo o quella meno impegnativa, tacciando Gesù di pazzia perché è esigente per svignarcela, altrimenti torneremo alle origini, ad Adamo ed Eva, che presi dalla voglia di trasgressione hanno iniziato quell’opera mai interrotta e ancora viva oggi: scaricare la colpa su altri o su altro, meglio se indefinito.