XXIII del tempo ordinario B

5 settembre 2021

 

Mentre i farisei erano rimasti a pensare a ciò che entra nello stomaco dell’uomo e lo rende impuro se non rispetta le antiche abluzioni, Gesù – dopo aver fatto capire loro che il vero problema non è ciò che entra nello stomaco, ma ciò che esce dal cuore dell’uomo, ovvero le cattiverie – Gesù, lasciate quelle teste dure che non vogliono capire, si dirige verso un’altra regione, in zona pagana, per emettere un imperativo: «Effatà», cioè: «Apriti!». Impone questo alle orecchie e alla bocca del sordomuto, al quale si aprirono le orecchie, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. Lo fa lontano dalla folla, lontano dagli occhi indiscreti e dalle malelingue, per non dare adito a pettegolezzi, ma più egli proibiva di tacere sul miracolo, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Questo a conferma di quanto aveva detto agli ipocriti farisei: il problema non è ciò che entra nello stomaco delle persone, ma ciò che esce dal cuore e dalla bocca. Infatti, mentre egli manifestava la gloria di Dio attraverso questo segno, la folla si mette a vociferare, divulgando la notizia e meravigliandosi. E sarà quella stessa folla che con le stesse bocche ne sentenzierà la morte al momento della condanna. Insomma, mentre il Signore concede al sordomuto di tornare ad udire per ascoltare le buone parole annunciate da Cristo e perché la sua bocca diventi portatrice del Vangelo accolto, la folla non fa altro che parlare a sproposito.

Anche a noi il Signore vuole aprire il cuore, più che le orecchie, perché entrando in esso la sua Parola, da esso possano uscire parole belle, parole buone, parole di Vangelo attraverso la nostra bocca e non di pettegolezzo, di rabbia e maldicenze.

Ci sono parole e parole.

Vorrei fare mie le parole dell’Arcivescovo di Milano, Mario, a proposito di parole:

Ci sono parole, come zanzare. Parole come zanzare, fastidiose, irritanti. Sono le parole amare, i pettegolezzi che screditano le persone, le parole che esprimono l’invidia e il risentimento, le espressioni che pungono e mortificano, le battute che forse vorrebbero essere spiritose e sono recepite come antipatiche, i rilievi inopportuni su tratti fisici. Si dovrebbe fare il proposito di impedire le parole come zanzare.

Ci sono parole, come farfalle. Parole come farfalle, liete, leggere, svolazzanti qua e là e subito scomparse. Sono le parole che suscitano emozioni, distraggono dal camminare a capo chino, forse anche suggeriscono qualche parola di poesia, annunciano una nuova primavera, colorano per un istante il cielo. Sono le parole delicate, gentili, sorridenti. Belle come le farfalle, passeggere come le farfalle, di passaggio, come le farfalle. Si dovrebbe considerare l’importanza di parole gentili e liete, che regalano emozioni, che possono distogliere da un cupo ripiegamento nella tristezza e tuttavia si deve anche vigilare sul rischio di contare troppo su emozioni passeggere, su stimoli troppo superficiali.

Ci sono parole, come pietre. Parole come pietre, dure, appuntite, forti, resistenti. Sono le parole che colpiscono, feriscono, rompono, provocano. Ci sono parole offensive, che umiliano, che troncano rapporti, che causano danni, talora con conseguenze drammatiche. Ci sono parole che colpiscono per correggere, che denunciano per richiamare i diritti degli altri e la giustizia, parole che costano la vita. Parole che vengono da Dio per invitare a conversione. Si deve bandire ogni parola che offende e che umilia, e si deve cercare la franchezza della parola forte, profetica.

Ci sono parole, come roccia. Parole come roccia, quella su cui la casa sta solida, resiste alle tempeste: chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia (Mt 7,24). Ci sono parole vere, parole sagge, parole che orientano nella ricerca della verità, parole che segnano il confine tra il bene e il male, parole che non seguono la moda, che non diventano vaghe per non essere impopolari, parole che insegnano a vivere, ad amare la vita, a sperare oltre la morte. Ci sono parole solide, che non hanno bisogno di essere gridate, che non si esibiscono come bandiere per scatenare battaglie, ma che stanno nelle fondamenta, discrete ma affidabili, punto di riferimento, piuttosto che ideologie indiscutibili.

Siamo invitati anche a riflettere e a decidere con quali parole parleremo, evitando le parole zanzare, usando con sobrietà le parole farfalle, dicendo quando è necessario parole come pietre, offrendo sempre la testimonianza alla parola roccia su cui sta salda la casa.