XXVII del tempo ordinario B

3 ottobre 2021

 

Giusto per sperimentare quanto siamo fragili e impastati di terra, non possiamo farci mancare una visione negativa anche su ciò che di bello Dio ha creato, tenendo presente che non l’ha creato per sé, ma per noi. Racconta infatti la Genesi: Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno de­gli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici.

Tutto era nelle mani dell’uomo e oggi più che mai occorre che l’uomo si interroghi sul suo rapporto con il creato, sulla sua capacità di custodirlo e di averne cura. Tutto Dio ci ha donato eppure ci sembra tutto dovuto, tanto da far passare in secondo piano la questione di un buon utilizzo e di un beneficio che ne traiamo. Imparare a guardare il creato e le creature con occhio di riconoscenza, permette all’uomo di oggi di accogliere quel disegno di Dio sulla propria vita e ringraziando il Creatore per i benefici ricevuti diventiamo capaci di custodire e trasmettere quei valori di rispetto e di attenzione che consentono all’uomo di vivere il mondo come la propria dimora, luogo di relazioni vere e non farlocche, ambiente nel quale respirare a pieni polmoni lo Spirito che manifesta l’amore di Dio per l’umanità.

Un amore incarnato nelle relazioni umane, che sono sempre compromesse da sbandamenti e infatuazioni, tanto da mettere in discussione persino l’unione matrimoniale di due coniugi, come se fossimo incapaci di amare.

Dobbiamo tornare ad avere occhi di bambino, perché «a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». Non possiamo dimenticare infatti, come sottolinea la lettera agli Ebrei, che colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo [Cristo] non si vergogna di chiamarli fratelli. Siamo noi i santificati da Dio e tutti coloro che Dio ama li santifica, li rende cioè santi, li rende belli dentro, li rende capaci di santità di vita, li salva attraverso la morte e la risurrezione di Cristo suo figlio.

Perché dobbiamo staccarci da Dio, perché mai rifiutare la bellezza della vita come Dio ce l’ha donata insieme al creato che ha predisposto per noi, perché rovinare quanto Dio ha fatto per il nostro bene, solo ed esclusivamente per una mancanza d’amore verso ciò che Dio ci dona o per interessi personali?

La figura di Maria, che all’inizio del mese del Rosario invochiamo, ci sta davanti come la tutta bella, la piena di grazia, colei che ha saputo vedere la vita alla luce di Dio. È lei la nuova Eva che irradia nel mondo quella stessa luce della quale il nostro Dio l’ha illuminata. È colei che accogliendo il disegno di Dio ha dato al mondo colui che della vita è il principio e il fine, cercando di seguirne in ogni momento la sua volontà, benché questa non fosse facile da comprendere.

Impariamo a guardare il mondo con la semplicità dei bambini e con l’umiltà di Maria; impariamo a guardare le creature come un dono da custodire, come Maria custodì nel suo grembo il Cristo Salvatore; impariamo a entrare ogni giorno in questo mondo con il silenzio di Maria, allontanando da noi il frastuono che ci impedisce di prestare orecchio e cuore al Padre per lasciarci interpellare da lui, che ci ama e ci dona la grazia della santità di vita. Impariamo a guardare gli altri come creature fragili, come lo è ciascuno, ma impregnati di Dio, perché plasmati a sua immagine e somiglianza. Non stanchiamoci di guardare questo mondo con occhi di speranza, perché solo così trasparirà da noi quella luce che viene da Dio e che può illuminare – se lo permettiamo – il mondo e le persone che ci circondano.

 

«Vergine madre, figlia del tuo Figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'eterno consiglio,

tu se' colei che l'umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate».

 

 (Divina Commedia, Canto XXXIII del Paradiso, Dante Alighieri)