IV di Avvento A

18 dicembre 2016

Che strano è Giuseppe. Mi colpisce sempre il fatto che di lui non si sappia niente. Non solo non si hanno notizie della sua vita dal Vangelo, ma di lui non si conosce nulla, se non che fosse carpentiere o falegname, come cita un passo delle Scritture, quando la gente, parlando di Gesù, si chiede: «Non è egli forse il figlio del carpentiere?» (Mt 13,55). Ma c’è di più. Di lui non si conosce nemmeno una parola e la cosa strana avviene non solo quando l’angelo Gabriele gli appare in sogno per spiegargli il disegno di Dio sulla sua sposa, ma anche quando lui e Maria ritrovano Gesù nel tempio mentre interroga i dottori della legge. Cosa c’è di strano? Nel vangelo, comunemente chiamato del “sogno di Giuseppe”, egli non ribatte alla proposta di Dio, sembra arrendersi di fronte a questa strana volontà; nel tempio invece è Maria che prende la parola e dice: «Tuo padre e io, angosciati ti cercavamo», mentre Giuseppe tace. Io fossi stato Giuseppe, in ciascuno dei casi, non mi sarei capacitato di me stesso, avrei fatto correre Dio e suo figlio Gesù Cristo. Lui no, non è come me. Lui si è messo in profondo ascolto della parola di Dio trasmessa a lui dall’angelo. Ha compreso che per ascoltare occorre prima di tutto tacere. Oh quanto non ci assomiglia! E non dev’essere stato facile neanche per lui trovarsi la sposa incinta per opera di qualcun altro e un angelo che gli illustrava il progetto di Dio. A noi quest’uomo non può fare che tenerezza, al mondo invece non può fare che senso. Sì, perché in un mondo dove non si possiede più l’arte dell’ascoltare e dell’ascoltarsi in famiglia, Giuseppe non dice nulla, è il classico uomo sottomesso che fa tutto quello che dice la moglie e sta zitto. È il genitore che si lascia mettere i piedi in testa da moglie, suocera, cognate e figli. E di uomini così ce ne sono molti, anche se a dir la verità ci sono soprattutto genitori che si lasciano mettere i piedi in testa dai figli. E questo non va bene e ce lo dice la Scrittura, quando a Mosè sono state date le tavole dei comandamenti; al quarto, infatti, troviamo scritto: “Onora il padre e la madre” e non il figlio e la figlia. La Scrittura è molto pedagogica, se la ascoltiamo e la mettiamo in pratica. Ebbene, se per il mondo di oggi Giuseppe dovrebbe ribellarsi e far valere i suoi attributi di uomo e di padre, egli ci insegna che non è né l’uomo sprovveduto, che era meglio se restava solo, né il padre incosciente che era meglio se non diventava padre. Giuseppe è l’uomo giusto del nuovo testamento, è colui che incarna la figura dei padri, la figura del padre. Una figura un po’ ambigua. Pensiamo infatti che il padre sia colui che deve solo dettare legge al figlio, che non è del tutto sbagliato; ma Giuseppe ci fa capire il passaggio precedente: si mette in ascolto della volontà di Dio, perché la sua vita e la vita del figlio possa essere realizzata seguendo il disegno di Dio. È ciò che ogni padre e madre devono fare. Mettersi in ascolto di Dio, per lasciarsi ispirare da Lui e rendere così la vita di ogni figlio non una semplice esecuzione di comandi (che sono importanti), ma soprattutto deve tirar fuori da ogni figlio il meglio di sé, le sue buone qualità, le sue capacità; deve, in poche parole, crescere colui che deve diventare un uomo o una donna ben saldi. Insegnare le cose importanti della vita è ciò che i padri fanno, ma prima di tutto queste cose devono averle apprese. Così ha fatto Giuseppe: prima di prendere qualsiasi decisione affrettata, si è messo in ascolto di Dio e della sua volontà. Quando avviene questo ogni padre e ogni figlio non possono che chiedere una sola cosa: «Posso?». Il padre chiede a Dio: «Posso farcela?» e la risposta non tarda ad arrivare: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere!». Quanti padri e madri purtroppo hanno dimenticato di affidarsi a Dio in questo compito così importante. Pensano che Dio non c’entri niente col loro essere genitori, dovendo ricorrere e rincorrere preti e psicologi perché sistemino i figli, ignorando che prima dovevano sistemare loro stessi affidandosi un po’ di più a Dio. I figli, da parte loro, chiederanno ai genitori: «Posso?», perché qualsiasi cosa abbiano in mente di fare non sia frutto di una propria testardaggine o di un proprio insensato pensiero, ma possano lasciarsi guidare dai genitori nel fare la cosa più giusta. Come ha fatto il grande Giuseppe. Dio si serve infatti del padre come di ogni genitore per guidare i figli, ma questo avviene se essi stessi si lasciano guidare da Dio attraverso le persone e le iniziative messe in campo per aiutare i genitori ad essere tali nei confronti dei figli. E quanti genitori si mettono davanti a Dio per chiedere che sia lui ad aiutarli nel consigliare i figli sulle scelte da fare nella vita? Quanti genitori chiedono a Dio di illuminarli per aiutare i figli a scoprire cosa fare da grandi? Quanti genitori si siedono accanto ai propri figli e insegnano ad essi fin da piccoli a chiamare Dio col nome di Padre senza aspettare che arrivino i catechisti nel periodo scolare, come se Dio fosse solo da relegare in un armadio dell’aula di catechesi? Anche mettersi davanti a Dio prima, per agire con fede e con tenacia dopo, da genitori e non da “amiconi” dei figli, per aiutarli seriamente nella vita, significa spiegare le scritture, cioè spiegare cosa Dio si attende da noi e dalla nostra vita e dalla vita dei nostri figli.