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V di Pasqua C

Domenica della Confermazione

14 maggio 2017

La parola di Dio, nella prima comunità, non può essere trascurata. Ma non può essere trascurata neppure la carità. Ecco che gli apostoli scelgono sette persone di buona reputazione per dedicarsi alla carità, mentre essi stessi continuano nell’opera per la quale erano stati scelti: l’annuncio del Vangelo. Ma cosa è più importante? La Parola di Dio, tanto da non poter essere trascurata, oppure la carità verso i bisognosi? Tutti saremmo pronti a dire: «La carità». Anche quelli che da tempo hanno scelto di non mettersi più in ascolto della Parola di Dio nella celebrazione dell’Eucaristia domenicale risponderebbero ancora più convinti che la carità non può essere trascurata e che è più importante fare del bene che mettersi tra i banchi di una chiesa a fare niente. Ma la risposta che tutti abbiamo pensato nel nostro cuore, ovvero “La carità”, non è per niente corretta. Infatti la decisione che gli apostoli prendono con la comunità cristiana, nata dopo la risurrezione del Signore, ci insegna che annuncio evangelico e carità fraterna vanno di pari passo. Non possiamo annunciare la parola di Dio senza viverla nella carità fraterna a servizio dei più poveri, dei più bisognosi, della comunità stessa, sia civile che ecclesiale. Ma nello stesso momento non possiamo fare la carità senza annunciare con essa la Parola del Vangelo, altrimenti non sarebbe carità, ma solo un’opera di bene fine a se stessa che ci porta a cadere nel rischio di autogloriarci di noi stessi e del bene compiuto. Ma la carità non è questo. La carità è amore e l’amore non guarda al tornaconto. Penso ai catechisti chiamati all’annuncio della Parola di Dio: se non lo facessero per amore del Signore e dei fratelli più piccoli, con tutte le fatiche e a volte le delusioni, per chi lo farebbero? Se lo facessero per se stessi avrebbero già abbandonato l’incarico, anche se la tentazione è sempre alle porte. Eppure il Signore infonde in loro il suo Spirito e li aiuta in questo ministero ad andare avanti, perché il seminatore non guarda dove semina, ma semina a larghe mani perché qualcosa, poco o tanto, possa crescere. Oggi, in questa domenica pasquale, ricordando il sacramento della Cresima, mentre affidiamo al Signore e al suo Spirito i ragazzi e gli adulti che ricevono questo grande dono, il mio pensiero va ai genitori e ai padrini che sono chiamati a testimoniare la loro fede cristiana, attraverso il loro buon esempio, la loro parola autorevole, il loro incoraggiamento. Quella mano sulla spalla che i padrini mettono a quanti ricevono il sacramento della Confermazione non rappresenta altro che la Chiesa che sta al loro fianco per sostenerli e incoraggiarli, aiutarli e ammonirli, educarli e spronarli nel cammino di fede. È la mano di Dio che attraverso la sua Chiesa, che siamo noi, li sostiene e li incoraggia a non mollare il cammino della fede, perché solo con il Signore la vita sarà pianamente realizzata, non senza fatiche certamente, ma sicuramente con molte gioie. E come testimoniare tutto questo? Con le parole, sicuramente, ma anche con l’amore che è carità che è mai fine a se stessa e che ci spinge verso i figli, i ragazzi, i colleghi, i fratelli con lo stesso amore di Cristo, che per noi e per tutti ha donato la sua vita, imparando da lui e dall’ascolto della sua Parola e con la forza che ci viene dalla sua presenza in noi attraverso i Sacramenti che celebriamo. E quelle mani che il Vescovo impone sulla testa dei cresimandi, non sono forse segno della mano rigeneratrice di Dio, che crea sempre a vita nuova, donando attraverso lo Spirito la forza di continuare a testimoniare il Figlio suo Gesù Cristo attraverso le parole e le opere di carità che le accompagnano? Ebbene sì! La Cresima oggi ci interpella ad essere cristiani che seguono il Maestro, ascoltando la sua Parola, diventandone annunciatori con le nostre parole e testimoni col buon esempio. Gli apostoli non scelsero persone a caso per il ministero diaconale della carità, ma persone di buona reputazione, che con disinteresse e amore assistevano i più poveri annunciando loro la vicinanza e la presenza di Cristo risorto. Anche noi, come scrive Pietro nella sua lettera, veniamo scelti dal Signore perché siamo la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato per proclamare le opere ammirevoli di lui, che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce. Siamo anche noi, come i primi cristiani, chiamati allo stesso compito: fortificati dallo Spirito Santo che pone il suo sigillo sulla nostra fede, siamo inviati a portare a tutti, con il nostro amore disinteressato e la nostra carità fraterna, l’annuncio che Dio è amore, che Dio è vivo, che Dio è al nostro fianco e opera in noi cose meravigliose. Ma per compiere questo ha bisogno dei cuori dei cristiani pronti ad accogliere la sua Parola e trasformarla in esempio concreto di carità. Annuncio e carità: due facce della stessa medaglia. E chi ha ricevuto il dono della Cresima, diventando adulto nella fede, non può dividere questi due componenti, ma viverli sempre e in ogni momento, anche se non è sempre facile ed è impegnativo.