XII del tempo ordinario A

25 giugno 2017

Per ben tre volte Gesù ripete ai suoi: «Non abbiate paura». Ciò significa che questo messaggio gli stava proprio a cuore. Ma di cosa non dovevano aver paura i suoi discepoli? Non dovevano aver paura del pensiero degli uomini di fronte all’annuncio evangelico, perché «quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce – dice Gesù – e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze». Un discepolo di Cristo non può aver paura di ciò che gli altri pensano se ciò che sta annunciando con le parole e con le opere è conforme al vangelo, proprio perché Gesù stesso ci ha ribadito che quello che Egli ci comunica nel cuore noi dobbiamo annunciarlo a tutti coloro che ci ascoltano. Quante volte abbiamo paura a confrontarci col vangelo e ancor più paura di annunciare il vangelo dentro i mille discorsi che oggi avanzano e che spesso sono in contraddizione col vangelo. Ma che cristiano è colui che per paura del pensiero e del giudizio altrui si sottrae all’annuncio evangelico? Come può un cristiano dire di essere discepolo di Cristo e aver paura ad esporsi quando si tratta di annunciarlo? Certamente l’indifferenza dilagante nelle persone ci scoraggia ad esserne annunciatori, ma questo non deve diventare un pretesto per tacere. Le nostre case, i mezzi di comunicazione sociale, la politica stessa tracimano di idee, notizie e leggi contro il vangelo. E il cristiano di oggi cosa fa? Si adegua? Sì, forse il verbo adeguarsi descrive bene il periodo che stiamo vivendo. Anche le nostre strade, le nostre piazze, i bar e i ristoranti, le sagre e le panchine del parco giochi sono piene di discorsi poco evangelici, come del resto la mia e la nostra stessa bocca. Ma il Signore ci mette in guardia dall’essere cristiani solo su un pezzo di carta qual è il registro dei battesimi della parrocchia. Magari ci dimentichiamo che l’essere cristiano non teme il pensiero e il giudizio degli altri. E allora ecco che il Signore ci mette davanti altre paure da evitare e quelle da temere: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo». Ci dice in poche parole di combattere il male che si insinua nella nostra vita che ci porta ad adeguarci a pensieri, parole e gesti che pian piano uccidono il nostro cuore. E quando il cuore è morto in se stesso significa che non sappiamo più amarci, ovvero non sappiamo più amare noi stessi e non sappiamo più amare gli altri nei quali Dio si manifesta. Di questo rischio dobbiamo avere seriamente paura, ma la paura si sconfigge con il coraggio. Ed ecco allora che le parole dell’apostolo Paolo ci vengono incontro e ci caricano di speranza. Scrive infatti: “Se per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti”. Se la morte è entrata nell’uomo a causa del peccato di Adamo, la grazia che viene da Cristo ci da la forza di fuggire a quanto il maligno semina in noi, per essere uomini e donne coraggiosi che annunciano il vangelo nelle relazioni giornaliere, uomini e donne che prendono posizione a livello politico e sociale per non lasciare andare alla deriva questo mondo, sentendo dentro sé il coraggio che il Signore infonde nell’uomo perché possa annunciare il vangelo della giustizia, della pace, della vita stessa, contro quei pensieri, quegli atteggiamenti, anche semplici, che ci fanno morire il cuore, rendendolo schiavo di una morale senza senso e di una vita priva di ogni fondamento di bene. Prendere posizione significa esporsi ed esporsi significa credere in quei valori evangelici che Cristo ci ha mostrato. Anche il profeta Geremia ci dice come testimoniare il vangelo non sia facile, ma il Signore non abbandona i suoi profeti. Dice Geremia: “Sentivo la calunnia di molti:«Terrore all’intorno! Denunciatelo! Sì, lo denunceremo». Tutti i miei amici aspettavano la mia caduta: «Forse si lascerà trarre in inganno, così noi prevarremo su di lui, ci prenderemo la nostra vendetta». Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere”. Persino gli amici del profeta si erano messi per paura a fianco dei suoi uccisori. Ma l’uomo di Dio non molla, non si lascia persuadere, sente al suo fianco il Signore che con la sua grazia lo aiuta a tener duro nella sua missione profetica. E noi come ci poniamo di fronte a queste parole? Riusciamo ad entrare in noi stessi per vedere quante volte abbiamo annunciato il vangelo nei discorsi tra familiari, parenti, amici, colleghi? Riusciamo a dire a noi stessi schiettamente quante volte per paura di rimetterci la faccia abbiamo agito come i falsi amici del profeta che si sono schierati dalla parte del male? Nessuno ci taglierà la testa – almeno speriamo – ma quante volte per paura di perdere un’amicizia o per non incrinare i rapporti abbiamo taciuto anziché aver proclamato una verità? L’esempio del profeta ci dice che non dobbiamo arrivare ad incrinare le nostre relazioni, ma che sicuramente esse si misurano vere proprio quando c’è di mezzo una verità scottante, che spesse volte piuttosto che essere accolta è meglio scansarla scansando anche quell’amicizia diventata troppo scomoda.