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XXI del tempo ordinario A

27 agosto 2017

E se il Signore chiedesse proprio a me, proprio a te, proprio a noi: «Ma voi, chi dite che io sia?», cosa risponderemmo? Perché alla domanda: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» è facile rispondere, perché per dire cosa si vocifera in paese e riempire la bocca di chiacchiere sul conto di altri si è sempre capaci. Il Signore chiede oggi, come ai suoi discepoli, cosa ciascuno di noi dice di lui. E non è così immediato rispondere come Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Quando infatti pensiamo a Cristo non riusciamo bene a completare la sua carta d’identità: per noi è un uomo in gamba che ha fatto tanti miracoli e ha fatto del bene alla gente, guarendo molti ammalati. Ma queste sono cose secondarie e noi ci fermiamo sempre a quelle. Tutte cose vere certamente, ma perché mai facciamo fatica a riconoscerlo come Figlio di Dio? Perché la nostra fede in lui si limita a una pura conoscenza vaga di ciò che ha fatto e non di chi è? Questo avviene anche con le persone: tante, troppe volte, conosciamo le persone solo per quello che fanno o che hanno fatto, se sono persone affidabili oppure no, se sono buone o cattive. Certamente non sono particolari irrilevanti, ma ci distolgono dal conoscere le persone per chi sono, limitandoci a quello che fanno o a quello che possiedono. In poche parole, siamo un po’ superficiali nelle nostre relazioni tra uomini, figuriamoci con Dio. E questo Gesù non l’ha tenuto nascosto a Pietro. Gli ha detto infatti: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giovanni, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Sì, è il Padre che sempre agisce in noi e ci rivela il suo volto nel volto del Figlio. Ed è dal volto che riconosciamo le persone, solo dobbiamo imparare a guardarle in faccia, per quello che sono e non solo per quel fastidioso sentito dire di paese, tra una chiacchiera e l’altra nei bar e nei negozi, che rendono torbida la personalità. È il Padre che si rivela nel volto del Figlio Gesù, ma per conoscere il Figlio occorre entrare in relazione con lui e non fermarsi al pressappoco. La nostra fede non deve assolutamente essere una fede blanda, ma deve permetterci di conoscere sempre di più Dio, il suo volto, la sua volontà. E come non si possono conoscere le persone solo grazie a quelle maledette chiacchiere di cui ci riempiamo la bocca ogni giorno, così non si può conoscere Dio attraverso una fede misera, che si limita a qualche orazione fatta più per abitudine anziché con il cuore. E allora cosa fare? Occorre fare la stessa cosa che dovremmo fare o che facciamo con le persone quando, amandole, desideriamo conoscerle nel profondo del cuore. Eh sì, è proprio il caso di sottolineare questa sfumatura: solo quando si amano le persone si desidera conoscerle in profondità, diversamente le si conoscerà solo superficialmente. E la stessa cosa vale con il Signore. Bisogna entrare in relazione profonda con lui per conoscerlo bene e per conoscerlo bene occorre che la nostra relazione con lui si intensifichi. Come? La nostra preghiera: quanto è sincera, quanto è fatta col cuore, quanto è attenta? Sì, può succedere che durante un momento di preghiera ci si possa distrarre, come ci si distrae quando si parla con una persona, ma questo non comporta sicuramente un impoverimento della preghiera, perché se fatta col cuore, qualsiasi cosa possa venirci in mente diventa motivo di preghiera, affinché il Signore possa purificare i nostri pensieri se non sono buoni o portarli a compimento se sono secondo la sua volontà. Un altro elemento che ci fa capire a che punto sia la nostra relazione con il Signore è la partecipazione alla Messa: sono consapevole dell’importanza dell’incontro con il Signore o lo vivo per abitudine, per obbligo, con noia? Mi sento partecipe durante la Messa o sono solo uno spettatore come se fossi seduto a un banchetto in fondo al tavolo e neanche partecipe del dialogo tra persone? Rispondo, canto, o muto come un pesce assisto semplicemente? Se paragonato con le persone dovrei chiedermi: quando sono di fronte a qualcuno, ascolto, parlo, o come un pesce lesso guardo e intanto la mia mente è altrove? Possono apparire banali queste considerazioni, ma diventano il termometro della nostra relazione con il Signore, come con gli altri. E ancora: quanto prendo in mano la parola di Dio? Leggo, se non sempre, ogni tanto il Vangelo, la Bibbia, qualche passo della Parola di Dio o mi limito a sentirla se non sono distratto durante la Messa? Riesco a lasciarmi guidare dalla Parola di Dio per una riflessione che possa sempre più migliorare la mia vita? Gli strumenti che la parrocchia mi mette a disposizione, come il libretto mensile di riflessione a partire dalla Parola del Signore quotidiana, diventano per me occasione di meditazione spirituale perché anche la mia vita pratica sia improntata sugli insegnamenti del Signore? Ma se non so neanche che ci sono strumenti per entrare più in profondità nella relazione col Signore, perché entro ed esco dalla chiesa sentendomi solo di passaggio, come potrò dire di avere una relazione vera con il Signore? E alla domanda: «Ma tu, chi dici che io sia?», come potrò rispondere: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»? Il martire Alessandro, che la nostra terra bergamasca ricorda in questi giorni, ci aiuti con il suo esempio ad essere cristiani che sanno perdere la testa per Gesù, che sanno entrare in profonda relazione con il Signore e, conoscendolo sempre più e sempre meglio, sanno, come il martire, rendere autentica testimonianza al vangelo che il Padre rivela a noi nel Cristo, nei suoi santi e nelle persone che ci pone accanto.