XXIV del tempo ordinario A

17 settembre 2017

“Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro”. Sì, dentro nel proprio cuore. Sono cose orribili che non ci portano a stare bene. Tante volte non stiamo bene con noi stessi e questo diventa motivo per prendercela con gli altri. Coviamo rancore, rabbia e ira e non ne usciamo più. “Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati”. E Gesù Cristo, nel raccontarci la parabola del servo spietato, ci dice chiaramente che «anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello». E allora – ci dice ancora il Siracide – “perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati?”. Come possiamo infatti chiedere la misericordia di Dio se non siamo capaci di usare misericordia? Come possiamo recitare quotidianamente il “Padre nostro” chiedendo a Dio: “Rimetti a noi i nostri debiti” se poi non siamo capaci di vivere l’impegno che ci prendiamo subito dopo dicendo: “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”? Forse avremo il piacere di sentirci dire dal Signore: «Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?», così che, sdegnato, il padrone ci dia in mano agli aguzzini, finché non abbiamo restituito tutto il dovuto? La domanda di Pietro è legittima: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?», ma esige che la risposta del Signore – «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» – sia messa in pratica. Può capitare di trovarsi in situazioni dove non si vada d’accordo con il proprio fratello, ma l’odio, il rancore, la vendetta, la cattiveria mai. Assistiamo a un continuo incentivo di cattiverie e maldicenze. Nel mondo politico tutti per guadagnare assensi sono pronti a vomitare cattiverie l’uno sull’altro; nella nostra comunità basta un nulla per avviare quelle stupide discussioni e pettegolezzi che manifestano quanto non si è in pace con se stessi e quindi gli altri diventano un ottimo bersaglio per attirare l’attenzione e cercare consensi; tra genitori che hanno visto fallire il proprio matrimonio ci si scaglia gli uni contro gli altri prendendo “in ostaggio” i figli facendoli soffrire sempre di più e atrocemente solo per catturarsi la ragione, quando non c’è assolutamente ragione nella testa di chi agisce così, ma solo ignoranza, perché si ignora la grave sofferenza che si procura ai figli. Ed è un continuo evolvere di situazioni pesanti e inutili che ci tiriamo dietro appesantendo noi stessi, le nostre famiglie, la nostra comunità, la società intera. Ma perché non sappiamo perdonare? Perché tra fratelli non si va d’accordo? Perché si arriva a dire parole pesanti e cose gravi? Ascolta bene cosa troviamo scritto nel libro del Siracide: “Ricòrdati della fine e smetti di odiare, [ricòrdati] della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, [ricòrda] l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui”. Sono parole terribili e chi le ignora è perché vuole ignorare la verità. Chi prega il Padre che gli rimetta i peccati e non sa perdonare al proprio fratello è un cristiano incoerente che non merita di essere ascoltato da Dio, perché “se conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio?”. Dobbiamo dire basta a questo vortice di odio e di violenza presente nel mondo; ma come possiamo farlo se non sappiamo spegnere i fuochi del rancore che ci sono tra noi? È fuori dubbio che chi ha subìto un torto provi nel cuore un forte dolore fino a quando la ferita non si è rimarginata e una volta chiusa lascia sempre il segno indelebile della cicatrice, un segno che ciascuno si può portare dietro per tutta la vita. Ma il Signore è stato chiaro attraverso l’autore sacro: “Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati”. Di quale preghiera parla? Della preghiera per il prossimo. Sì, se non riusciamo a perdonare ci chi ha fatto un grave torto, almeno sforziamoci di pregare per lui e anche il nostro cuore respirerà aria nuova, l’aria dello Spirito che entrando in noi purifica il nostro cuore e lo rende meno intriso di odio e di rancore. Preghiamo incessantemente per coloro verso cui proviamo sentimenti cattivi, perché il Signore converta il cuore di tutti. La preghiera che Gesù ci ha insegnato non pronunciamola solo per abitudine o per rito, ma impegniamoci a pronunciare le parole più dure con il cuore e con la mente: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Facciamo nostre le parole che Paolo scrive agli Efesini (4,26-27.31-32): “Non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo”. Solo così adempiremo ai comandi del Signore; solo così ci sforzeremo di essere buoni e veri cristiani; solo così troveremo pace con gli altri, e ancor di più con noi stessi e con Dio.