Stampa

XXVII del tempo ordinario A

Solennità della Dedicazione

della chiesa parrocchiale 

Inizio dell'Anno pastorale

8 ottobre 2017

Il discorso della vigna si colora di giallo. Il padrone aveva dapprima cercato lavoratori per la sua vigna, retribuendoli secondo misericordia più che secondo una logica umana; successivamente quell'uomo mandò in quella vigna i suoi due figli chiedendo loro di lavorare “oggi” nel suo podere e la risposta dei figli fu diversa: uno, preso da entusiasmo o da una riverenza per il padre, accettò il lavoro, ma subito cambiò idea e in quella vigna non ci entrò mai; l'altro, preso da non voglia o da qualche remora, rispose negativamente alla richiesta del padre, ma poi, “pentitosi”, ci andò. Ora è il momento del raccolto, ma la vigna diventa luogo di omicidi e di possesso. I contadini si ribellano ai servi di quel padrone e li uccidono. Non solo non hanno rispetto della vita di quei servi, ma neanche di quella del figlio prediletto. Essi dissero: «Costui è l'erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». La vigna diventa oggetto di possesso, un possesso così morboso da ottenerlo attraverso l'omicidio. È grave questa cosa. È talmente grave che non possiamo non soffermarci a riflettere. La vigna è per noi un simbolo. È il simbolo della Chiesa, ma diventa simbolo anche della nostra stessa vita. Se il Signore chiedesse a noi, come ai suoi discepoli: «Quando dunque verrà il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?», cosa diremmo? Sono certo che la nostra risposta non sarebbe diversa da quella dei discepoli: «Farà morire quei malvagi e darà la vigna in affitto ad altri contadini che gli consegneranno i frutti a suo tempo». Questa risposta diventa la chiave di lettura per la nostra riflessione. Chi sono quei malvagi che attraverso la morte vogliono impossessarsi della vigna del Signore? Possiamo essere noi tutte le volte che dimentichiamo il nostro essere semplici contadini, chiamati a lavorare nella vigna che non è nostra, ma del Signore, chiamati a raccogliere i frutti e consegnarli al Signore, perché la vigna del Signore non viene data ai contadini perché ne facciano ciò che vogliono, ma viene data loro in affitto pur restando del Signore. Possiamo essere noi quei contadini ogni volta che ci impossessiamo della vigna del Signore, ogni volta che ci impossessiamo delle persone e delle situazioni volendo diventarne protagonisti anziché restare servitori. Dobbiamo metterci in guardia, perché questo può succedere ogni giorno. Può succedere nella comunità quando trasformiamo il nostro servizio in un possesso che ci porta a impadronirci di cose e persone prendendoci la libertà di fare ciò che vogliamo ed escludendo altri; può capitare sul lavoro, quando una semplice responsabilità che ci viene riconosciuta ci porta ad ergerci padri e padroni di cose e persone. Può succedere anche nelle relazioni, quando l'amicizia diventa possesso e il possesso porta a voler legare a sé le persone pretendendo che queste facciano la nostra volontà, distruggendo così la loro libertà. Ma per tornare alla vigna, è interessante come il Signore attraverso il profeta Isaia parli della sua vigna con grande amarezza; si aspettava uva buona e invece diede acini acerbi. Da queste parole sembra proprio che sia la vigna ad aver dato frutti amari, ma una vigna diventa selvatica a motivo dell'incuria del contadino. E se fossi io motivo di uva selvatica nella vigna che il Signore mi ha affidato? Se fosse colpa della mia incuria o della mia infame possessività che mi ha portato a fare della vigna del Signore una cosa mia impedendo così a molti tralci di dare frutti buoni soffocandoli col mio “ego”? E se fossi io ad aver ucciso la vigna del Signore? Celebrando il ricordo del giorno glorioso della consacrazione delle nostre chiese non possiamo tralasciare di parlare del nostro essere Chiesa, vigna dalla quale il Signore si aspetta frutti maturi, uva buona per il vino buono della gioia, della festa, dell'unità. Guai a me, guai a noi, guai a chiunque si voglia impossessare della sua vigna e ne voglia fare un appezzamento di terra a propria immagine e somiglianza. Guai a me, guai a noi, guai a chiunque ucciderà la vigna del Signore ergendosi padrone di ciò che non è suo, ma che è chiamato a servire e a coltivare. Iniziando un nuovo cammino pastorale, alla scoperta della vocazione che Dio ha seminato in ciascuno e che attraverso molte persone sta coltivando lasciamo che la sua vigna porti molti frutti, in particolare nelle giovani generazioni. Aiutiamo i ragazzi e i giovani a dare buoni frutti, coltiviamo la chiamata che il Signore rivolge a loro e aiutiamoli a distinguere l'uva buona, dall'uva acerba. Aiutiamoli dando voce al Signore e non soffocandola con le nostre volontà. Dio ci ha donato figli come ha donato la vigna a quei contadini, aiutiamoli dunque a portare frutti buoni secondo la volontà di Dio e non secondo i nostri disegni. Aiutiamo il Signore a coltivare questa vigna, la nostra comunità. Aiutiamola a crescere, aiutiamola e non uccidiamola impadronendocene.