IV di Avvento B

24 dicembre 2017

Che premuroso è Davide nei confronti di Dio. Dopo essersi stabilito nella sua casa, egli non pensa solo a se stesso, ma anche a Dio. Riconoscendo il grande e immenso dono della casa, non vuole che Dio ne sia privo. Ma ecco che Dio interviene. Sembra che a Davide dica: Come puoi costruire una casa a me, quando io stesso sono una casa per te? Sì, Dio è la nostra casa, la nostra sicurezza. Dio è colui che ci protegge e ancor prima che noi ci prendiamo cura di lui, lui si prende cura di noi. Come una casa. Prima ancora di essere noi a prenderci cura della nostra dimora, è lei a proteggere noi dalle intemperie, dal freddo pungente di questi giorni e ci regala quella protezione che ci fa stare bene, come quando ci facciamo scaldare il cuore da un abbraccio. La cosa sorprendente di Dio è che per prendersi cura di noi chiede di abitare nella nostra casa, nella nostra vita. Lo ha fatto in modo speciale con Maria nella cui casa è entrato attraverso l'angelo Gabriele. È entrato per accomodarsi, è entrato col desiderio di sentirsi accolto. Del resto anche noi proviamo le stesse sensazioni quando ci rechiamo a far visita a persone care: proviamo una grande gioia quando ci sentiamo accolti. Queste emozioni però non le proviamo solo quando facciamo visita, ma anche quando riceviamo visite di persone care. A volte queste visite sono inaspettate, come quella dell'angelo, a volte le attendiamo con ansia, perché ci colmano il cuore di gioia. In qualsiasi caso avvertiamo dentro noi uno strano effetto che spesso non riusciamo neanche a descrivere. E allora provo ad entrare nella cucina di casa e a cercare di raccontare ciò che si agita in me quando attendo visite a me tanto care, o addirittura quando attendo qualcuno che venga a condividere il pranzo seduto alla mia stessa tavola. I preparativi sono un'esplosione di pentole, armadietti che si aprono, antelli che si chiudono, frigorifero e frezzer che si aprono e chiudono in continuazione come  fossero una fisarmonica. E poi subentra quella vena di creatività non per fare bella figura, ma perché chi accolgo possa trovarsi bene, possa sentirsi a casa sua. Mi ritrovo in una cucina nella quale pare essere passato uno tzunami, poi pazienza se il risultato è scarso, ma ciò che non scarseggia è quella dose abbondante di passione che è segno dell'affetto verso chi entra in casa. Perché chi si mette ai fornelli non può farlo solo per puro piacere o per ricevere onorificenze e congratulazioni, ma solo ed esclusivamente per passione. E se tutta questa passione la sentissimo anche per il Signore che desidera abitare la nostra vita? Forse per lui la avvertiamo meno? Adrenalina pura la vigilia di Natale, cucine piene di stoviglie per il pranzo di Natale, tavole imbandite di ogni ben di Dio. Ma per chi? Per noi o per festeggiare la venuta di Dio nella nostra vita, nelle nostre case? Come stiamo preparando la cucina del nostro cuore per accogliere Dio che si fa uomo? Come stiamo preparando la tavola della nostra vita per colui che per noi si farà pane, nutrimento, vita stessa? Come stiamo accogliendo il Signore nel nostro cuore? Cerchiamo la sua volontà? Desideriamo accoglierlo per conoscere il suo progetto su di noi, sui nostri figli e nipoti, o buttiamo all'aria la nostra cucina solo perché è usanza a Natale? Poi ci sono anche visite indesiderate, quelle che ti portano a far finta di non essere in casa, quelle di persone che per vari motivi non avresti voluto trovare sulla porta di casa, quelle che arrivano in un orario sbagliato, quelle che ti fanno svegliare nel cuore della notte. Altro che cucina apparecchiata, aperta, accogliente. Forse questo sta avvenendo anche con il nostro Dio che nell'ora meno opportuna, quando abbiamo già deciso tutto della nostra vita e della vita di figli e nipoti, arriva a chiedere l'impossibile, l'impensabile, l'inimmaginabile. Solo che con Lui non possiamo fingere di non esserci, in un modo o nell'altro trova sempre il modo di conquistarci e di farci aprire. Non opponiamogli resistenza, facciamolo accomodare alla tavola della nostra famiglia, offriamogli un buon piatto di pastasciutta o una calda minestra, ma soprattutto serviamogli in tavola un cuore capace di fidarsi dei suoi progetti, capace di fidarsi dei suoi disegni, capace di abbandonarsi alla sua volontà, proprio come ha fatto Maria. Cosa aspettiamo? Lo accogliamo questo Dio, lo facciamo accomodare alla nostra tavola, nella cucina della vita o preferiamo lasciarlo fuori?