XI del tempo ordinario B

17 giugno 2018

“Fratelli, sempre pieni di fiducia”, dice l’apostolo Paolo. Coi tempi che corrono abbiamo bisogno di fiducia, una fiducia che ci porti a guardare a un mondo più giusto, meno caotico, meno apatico e lassista. Un mondo dove non regna l’indifferenza e dove i capisaldi dei valori umani siano ripresi come si prendono in mano le redini di un cavallo imbizzarrito. Abbiamo bisogno di fiducia per guardare a un mondo migliore e più giusto, non abbandonato a se stesso e al relativismo di ognuno. Abbiamo bisogno di fiducia per guardare avanti a testa alta e non sempre in preda al fatto che è buono e giusto ciò che ognuno reputa tale. Siamo ancora in preda a un mondo corrotto che specula anche sulla vita degli altri, e il caso dei flussi migratori ne è un esempio e la disumanità di chi ci specula ci fa diventare chi intransigente, chi buonista. Forse abbiamo bisogno di riscoprire cosa sia la vera carità, ma anche cosa sia la vera giustizia. Viviamo anche in un mondo dove l’educazione non si sa più dove abiti, un mondo dove i genitori, non tutti per fortuna, non hanno più il coraggio di correggere i propri figli. Nei giorni scorsi si è concluso un altro anno scolastico e mi ha colpito la lettera di un professore girata in questi giorni sui social che ho condiviso virtualmente, ma che voglio diventi oggetto di riflessione. Scrive questo professore: “Un giovane collega che insegna in un istituto tecnico di Roma è stato ieri aggredito con calci e pugni da un signore a cui era appena stata comunicata la bocciatura del figlio. Si tratta della trentacinquesima aggressione ad un docente dall’inizio dell’anno. Cari genitori, se bocciamo i vostri ragazzi non è per sadismo, antipatia personale o desiderio di continuare a lavorare con loro per ancora molti anni. Lo facciamo quando il rendimento, la condotta e l’impegno sono davvero troppo bassi per consentire loro di fare un passo avanti. Lo facciamo perché i ragazzi possono aver bisogno di fermarsi, fare i conti con se stessi, riflettere sulla propria condotta e sul proprio impegno. Non sta scritto da nessuna parte che la vita debba essere una lunga cavalcata gloriosa, colma di applausi e di soddisfazioni. La vita è fatta anche di imprevisti e di passi falsi: può capitare che una relazione finisca male, che un lavoro non venga apprezzato, che la nazionale non giochi i mondiali. E allora? Aggrediamo il nostro ex partner, picchiamo il datore di lavoro, rinneghiamo gli azzurri? Niente di tutto questo. Ci si ferma. Si riflette su ciò che è accaduto e si torna a lavorare con più convinzione di prima, con più umiltà, grinta e determinazione. Si riparte da zero, con Mancini, per vincere i prossimi mondiali. Insegnate ai vostri figli ad accettare gli errori, a prendersene l’intera responsabilità, perché su di essi possano crescere e maturare umanamente. Questa sarà la loro più grande vittoria, l’unica cosa che davvero conta”. Davvero abbiamo bisogno di fiducia per questo mondo, quella che San Paolo rimarca più volte in poche righe: “Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo - camminiamo infatti nella fede e non nella visione - siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore”. Forse anche noi davanti a tutto questo diventiamo pessimisti, un po’ come me, tanto da dire che desideriamo un esilio su un’isola deserta, dove non si vede nulla, non si sente nulla, non si ha percezione di un mondo che va a rotoli. Ma san Paolo non parla di questo tipo di esilio, ma della meta eterna che ci attende, anche se prima dobbiamo camminare su questa terra costantemente orientati verso i beni eterni. E aggiunge: “Sia abitando nel corpo sia andando in esilio, ci sforziamo di essere a lui graditi. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male”. Ora, di fronte a un disorientamento generale e sociale, voglio dire che ho ancora fiducia: fiducia nelle istituzioni perché facciano il loro dovere e lo facciano bene e secondo giustizia e amore per la verità; ho fiducia nei genitori perché continuino e tornino ad amare i propri figli e a cercare solo il bene per loro anche quando costa fatica e a volte serve essere severi; ho fiducia nella comunità educante perché cerchi sempre e in ogni momento di far crescere piante dritte e che diano buoni frutti per il futuro, seminando, seminando, seminando senza mai stancarsi. E anche se ho poca fiducia in me stesso nell’essere un buon pastore e un buon uomo, ho fiducia nel Signore che illumini la mia vita per agire nel migliore dei modi ed essere annunciatore di Cristo in mezzo al popolo nel quale egli mi ha chiamato e mi chiamerà a vivere. Ho fiducia, perché così è il regno di Dio: «come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ger­moglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Ci vuole fiducia, costanza e molta pazienza.