XXX del tempo ordinario B
28 ottobre 2018
C’è una differenza sostanziale tra l’episodio dei due fratelli che vanno dal Maestro a chiedere ciò che vogliono loro e l’incontro tra Gesù e il cieco Bartimeo. Infatti, mentre i discepoli vogliono che Gesù faccia loro ciò che gli chiedono, in questo episodio è Gesù che chiede al cieco cosa desidera che egli faccia per lui. Sia nei due discepoli, Giacomo e Giovanni, che in questo povero uomo, c’è un desiderio che chiede di essere esaudito, ma la sostanziale differenza sta proprio nell'approccio. I due fratelli quasi impongono a Gesù la loro volontà, mentre al cieco viene chiesto di esplicitarla, quasi a tirarla fuori sommessamente dal di dentro. In poche parole potremmo dire che: un conto è la sfacciataggine nel chiedere e nel volere, un conto è desiderare umilmente per conoscere cosa c’è veramente nel profondo del cuore. Questo processo interiore lo comprendiamo meglio dall'atteggiamento di Gesù, che a tratti sembra un po’ strano. Ascoltiamo bene questo passaggio: “Mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! ». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!»”. Dov'è la stranezza e la straordinaria capacità di Gesù nel rapportarsi con questo poveraccio, che tutti mettono a tacere perché non conta nulla per la società? La stranezza e la straordinarietà di Gesù stanno nel fatto che egli si ferma all'udire la voce straziante di Bartimeo, ma non si avvicina a lui: lo manda a chiamare. La cosa strana è proprio questo comportamento apparentemente superbo di Gesù, che ci invita a farci carico dei poveri e dei sofferenti, degli emarginati e degli esclusi, eppure lui sembra proprio fare il contrario. La straordinarietà di questo modo di fare sta nel fatto che Cristo vuol far sperimentare a quell'uomo la sua fede. Ora, mettiamoci nei panni del cieco: egli si sente chiamato da Gesù e, annota il Vangelo: “chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù”. La chiamata risveglia in noi la fede e la fede ci fa rispondere a questa chiamata. E come risponde Bartimeo? Alzandosi di scatto, gettando via i suoi beni, ciò che lo custodiva e lo proteggeva, cioè quel semplice mantello, e si dirige verso Gesù. Anche qui una cosa anomala: come fa un cieco a balzare in piedi e venire da Gesù? La risposta più banale che possiamo dare a questa domanda è chiaramente una sola: l’avranno accompagnato. Può darsi. Ma se l’evangelista scrive che quell'uomo, impedito nel vedere dove mettere i piedi, va da Gesù quasi senza aiuti e accompagnatori, significa che quell'uomo ha risposto alla chiamata di Gesù e la sua fede lo ha spinto ad andare verso di lui, come se il vero miracolo non fosse avvenuto nel momento in cui Gesù gli ridona la vista, ma quando la sua fede lo ha spinto ad alzarsi e a rispondere prontamente ad una chiamata. Ecco perché Gesù gli dirà: «Va', la tua fede ti ha salvato». Il soggetto autore del miracolo non è Gesù Cristo, ma la fede di quell'uomo. Senza la fede quell'uomo non avrebbe invocato il Signore, non avrebbe chiesto la guarigione, ma soprattutto non si sarebbe alzato in piedi e non si sarebbe diretto verso Gesù. E non avrebbe riacquistato la vista e nemmeno lo avrebbe subito seguito per la strada. Così avviene anche per noi, che siamo chiamati da Gesù a vivere la nostra fede rispondendo ad una vocazione: quella cristiana di discepoli del Maestro. Così avviene anche per coloro che si sentono chiamati da Gesù a seguirlo nella via sacerdotale e religiosa. Certo, questa vocazione non è sempre facile da intravedere nei nostri ragazzi e i giovani di oggi sono spesso ciechi di fronte a questa possibilità di vita, per paura del giudizio altrui, per timore di ciò che essa chiede, compresa la rinuncia a una vita familiare, o forse perché sanno che è una vocazione che richiede tenacia e coraggio, ciò che non sempre si vede presente nei più giovani quando si tratta di scegliere nella vita. E allora ecco l’importanza del mondo adulto, genitoriale ed educativo, che possiamo vedere raffigurato in coloro che vanno dal cieco Bartimeo, lo prendono sotto braccio e gli dicono: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Sì, dobbiamo dirlo e ripeterlo ai nostri ragazzi senza stancarci, dobbiamo infondere in loro quello stesso coraggio che ha spinto Pietro e i primi apostoli a prendere il largo, malgrado le titubanze, i fallimenti e le delusioni. Dobbiamo aiutare i giovani a ritrovare il coraggio di fare scelte importanti nella vita, scelte decisive, scelte determinate che non risparmiano fatica, giudizi e inadeguatezze, ma che, sappiamo, essere scelte grandi, come quella sacerdotale e religiosa, perché scelte guidate dal Signore, che in poche parole ci spinge a non mollare, dicendoci: Prendi il largo! Duc in altum! Punta in alto!