XVII del tempo ordinario C

28 luglio 2019 

Chi l'ha detto che è maleducazione chiedere con insistenza? Dipende sempre da ciò che chiediamo e cosa educhiamo a chiedere. Il bambino capriccioso chiederà sempre con insistenza ciò che gli fa comodo, ciò che vuole, ciò che sa ottenere anche con lacrime false. L'adolescente diventa un vero e proprio peso quando, senza lacrime, insiste e insiste per ottenere ciò che vuole arrivando allo scontro e alla trasgressione per impugnare la situazione e governarla. L'adulto più ragguardevole e meno spudorato, invece, si fa scrupoli nel chiedere, non osa perché non vuole fare la figura di essere mancante di ciò che vorrebbe chiedere o più semplicemente non vuole essere invadente e quindi aspetta che sia l'altro a introdurlo nel discorso desiderato. L'adulto più sfacciato e a volte anche maleducato, al contrario, non gli importa delle buone maniere: chiede e basta, solo allo scopo di ottenere una risposta alle sue curiosità o per avere l'oggetto che più desidera. Ma non è vero che la persona che chiede è sempre maleducata. Un bambino può chiedere, deve chiedere, perché chiedere significa aver bisogno di una persona o di qualcosa. Certamente va educato a capire se ciò che chiede è pertinente oppure no. La stessa cosa vale per l'adolescente, che già dovrebbe essere in grado di sapere cosa è giusto chiedere e cosa è meglio lasciar stare. Ciò che conta è che l'adolescente nel chiedere faccia esperienza del suo non bastare a se stesso, del suo aver bisogno dell'altro e del fatto che debba sottostare ai permessi degli adulti, i quali lo aiutano a crescere e a comprendere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. E questo è importante, soprattutto nell'adolescenza,  in un'età nella quale si vuole la propria autonomia e indipendenza per sentirsi grandi. Peccato che l'essere grandi, soprattutto oggi, non coincida con l'essere maturi. Chiedere, insomma, fa bene alla propria vita, perché ci porta a fare esperienza della propria finitezza, del proprio limite e del bisogno che si ha dell'altro per completare ciò che non si è in grado di fare da soli. Prendiamo in considerazione Abramo: davanti all'ira di Dio per il peccato dell'uomo non ha smesso di chiedere misericordia, non si è arreso nella preghiera, non ha mai cessato di dire: «Non si adiri il mio Signore se parlo ancora». L'insistenza di Abramo potremmo apparentemente  paragonarla ai capricci ossessivi di un bambino o a quelli più pesanti di un adolescente. Se fossi stato io Dio l'avrei fatto tacere già alla seconda domanda. Ma ciò che Abramo chiede non è paragonabile a un capriccio o a una testardaggine per se stesso: egli implora da Dio la pietà per il suo popolo. Ecco la differenza: chiedere testardamente o capricciosamente porta all'egoismo per se stessi, mentre chiedere per il bene altrui è segno di maturità. Quando preghiamo, infatti, non dobbiamo mai pensare a noi stessi, come fa il bambino o l'adolescente o l'adulto immaturo che pensa solo a se stesso; quando preghiamo siamo chiamati a dire: “Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”. Innanzitutto non diciamo “Padre mio”, ma “Padre nostro”: questo comporta che già nella preghiera non mi metto davanti a Dio come se esistessi solo io per lui, proprio come fa il bambino, e mentre chiedo che sia santificato il suo nome e venga il suo regno, perché sia fatta la sua volontà, dico anche: “Dacci il nostro pane quotidiano, e perdona i nostri debiti” e anche “Non abbandonarci alla tentazione”. La richiesta non è in forma privata, egoistica. Quando preghiamo siamo chiamati a farlo non per noi stessi, ma per tutti i nostri fratelli, vicini e lontani. Non solo per i nostri cari, come qualcuno fa, ma anche per coloro che non conosciamo, ma hanno bisogno della nostra preghiera e della nostra fraterna vicinanza. Dio non è una proprietà esclusiva, Egli sa già di cosa abbiamo bisogno, ma si attende da noi una richiesta che non vada nella direzione egoistica, ma che ci porti ad aprire il nostro cuore alla grande famiglia che è la Chiesa. Guardiamo allora al Cuore del Signore. Non è chiuso in se stesso, ma è un cuore capace di amare senza misura, senza contare il poco o il tanto, senza guardare a chi gli è vicino o lontano. Cristo ci insegna che la preghiera arriva fino al cuore di Dio e Dio sa apprezzarla quando non è un capriccio personale, ma una richiesta di bene per i suoi figli. La preghiera non tira Dio verso di noi o dalla nostra parte, come spesso avviene tra bambini e genitori accondiscendenti, pure troppo, ma spinge noi verso Dio carichi non di noi stessi, ma dell'amore e della premura che abbiamo nel portare a Dio anche gli altri di cui il nostro cuore si è fatto carico.