XXI del tempo ordinario

25 agosto 2019

C’è posto per tutti alla tavola del Signore, ma per arrivarci occorre entrare per la porta stretta, perché molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Non è una porta larga quella del Vangelo, non è il portone di una reggia o di un palazzo che, aperti i battenti, si fa ressa per accaparrarsi il primo posto o per avvicinarsi per primi al banchetto delle vivande per ingozzarsi di quanto si trova sulla tavola. Per entrare nel regno di Dio non serve spingere, non serve prenotare il posto e non serve presentarsi per primi per la paura che il posto lo prenda qualcun altro. Gesù stesso, rivolgendosi ai suoi, aveva detto: «Vado a prepararvi un posto». Il posto è preparato per noi fin dall’eternità, occorre arrivarci nel modo che il Signore ci indica. Non serve allora vedere le scene deliranti di chi davanti al centro commerciale si posiziona con largo anticipo dormendo di notte fuori dalle porte per entrare per primo a comprare l’ultimo modello di cellulare; non serve vedere le scene da guerra di chi si piazza davanti ai cancelli dello stadio per entrare per primo a spintoni e raggiungere il posto più vicino al campo da gioco o sotto il palco del cantante preferito; non serve essere in piazza fin dalle prime ore dell’alba per raggiungere la postazione più vicina al Papa o alle transenne dove passerà con la certezza effimera di riuscire a incrociare anche solo il suo sguardo o porgergli la mano. Serve piuttosto vivere il Vangelo passando dalla porta stretta del Vangelo stesso. E dalla porta stretta si fa fatica a passare, come si fa fatica a vivere il vangelo se lo si prende seriamente. Pensiamo infatti che più grande è il portone del palazzo, più vasti siano gli ambienti che ci attendono e più fastose le stanze che ci accoglieranno. Il regno di Dio non è così: dobbiamo sforzarci di faticare a mettere in pratica il Vangelo per essere accolti non tra gli sfarzi di un palazzo regio, ma nel paradiso stesso dove il Padre ci accoglie e ci fa accomodare alla mensa dell’eternità. E non dobbiamo neanche preoccuparci, come quel tale, che chiese a Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Forse cercava di capire se i biglietti riservati erano a numero limitato e se coloro che si salvano sono i privilegiati. La risposta di Gesù non tarda ad arrivare: «Molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno», non perché  posti siano pochi, ma perché le porte sono strette, perché vivere il vangelo, biglietto di accesso al regno dei cieli, è faticoso e molti sono quelli che rinunciano. Quei molti che non riusciranno ad entrare non saranno cacciati perché l’ambiente è pieno, ma perché abbandoneranno l’idea di entrarci al solo pensiero di vivere il Vangelo. D’altronde essere cristiani non è un tesseramento; essere cristiani non è una tradizione; essere cristiani non è un privilegio; essere cristiani è la condizione per essere felici, seguendo il Vangelo e mettendolo in pratica. Non basterà infatti rivolgersi a Gesù dicendogli: «Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze»,  perché egli dichiarerà: «Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!». Sì, non servirà dirgli: «Sono battezzato, ho fatto la prima comunione e la cresima, qualche volta sono venuto a messa, soprattutto ai funerali di qualche amico o parente: cosa devo fare di più?», perché egli non conosce il cristiano che fa il cristiano, ma non lo è, quello che si accontenta di assolvere qualche precettino, ma non vive da cristiano, quello che predica a destra e sinistra la bontà e la pietà, ma si dimentica di vivere la giustizia e la carità verso il suo vicino, verso un suo parente, verso un suo collega. Non si accontenta il Signore di chi va a messa tutte le domeniche o tutti i giorni e poi fuori dalla porta di chiesa è una vipera capace solo di parlar male. Non conosce il Signore colui che pensa di essere cristiano solo perché accende ogni tanto o tutti i giorni una candelina ma è ben lontano dal vivere il Vangelo. E allora è inutile correre per prendere il primo posto davanti a Dio, come fossimo a uno spettacolo, occorre essere capaci di mettere in pratica il Vangelo e senza lusinghe cercare di essere di buon esempio per coloro che ci circondano, giusti nella giustizia, caritatevoli secondo la legge della carità e non del buonismo, impegnati nella lode al Signore senza fare in modo che sia separata dalla vita che conduciamo. E tutto questo discorso Gesù lo fa, scrive l’evangelista Luca, mentre è diretto a Gerusalemme; a Gerusalemme Gesù non sta andando perché torna dalle ferie estive, bensì per donare la sua vita per la salvezza di tutti. Ecco: lui è la coerenza, sta a noi imitarla!