Commemorazione di tutti i fedeli defunti

2 novembre 2019

Se la beatitudine è una necessità per l'umanità, come il buon vino per una festa di nozze, e la via verso la beatitudine e quindi verso la santità può essere anche la strada del matrimonio, come non pensare oggi a coloro che visitano in un cimitero il proprio coniuge? E come non pensare proprio a loro, i nostri cari, che crediamo essersi santificati nella vita matrimoniale? Sembra stridere la parola morte con le nozze, tanto che la Chiesa ha cambiato la formula nel rituale matrimoniale: non si dice più “fin che morte non ci separi”; forse è proprio vero che neanche la morte può porre fine all'amore tra un uomo e una donna, che si sono giurati amore eterno nella speranza di riabbracciarsi nella gioia del paradiso. Il mio pensiero va anche a chi, dopo la morte di un coniuge abbia intrapreso una seconda via matrimoniale: la morte non ha cancellato l'amore, ma lo ha reso ancor più vero tanto da continuare su questa terra il raggiungimento della santità attraverso una nuova unione sacramentale. Ricordiamo come a Gesù si avvicinarono alcuni sadducei  – i quali dicono che non c'è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Lc 20,27-38). La resurrezione ci renderà tutti alla vita eterna, là dove non avremo più bisogno di segni sacramentali, come la vita matrimoniale, per essere santi e godere della beatitudine. Su questa terra abbiamo avuto modo di santificarci nella vita matrimoniale, rendendo vivo nell'unione sponsale e generazionale l'amore di Dio per l'uomo. Nell'eternità ci ritroveremo tutti, e là vivremo l'amore in pienezza nell'unione spirituale con Dio che su questa terra abbiamo vissuto nelle nozze. Mentre piangiamo i nostri cari oggi ricordando e sentendo ancor più forte l'amore per loro, vissuto e mai terminato, facciamo nostre le parole della liturgia: Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria quando, asciugata ogni lacrima, i nostri occhi vedranno il tuo volto e noi saremo simili a te e canteremo per sempre la tua lode, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene (Preghiera eucaristica III). La morte dunque non spezza alcun vincolo, perché la nostra fede nella risurrezione ci lega ancor di più ai nostri cari, in particolare ai coniugi defunti, perché la gioia delle nozze terrene, possa un giorno continuare nelle nozze eterne, che oggi pregustiamo nella celebrazione eucaristica che ci fa intravedere e assaporare il vino venuto a mancare su questa terra, ma che sarà eterno e abbondante nel regno dei cieli.