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XXXI del tempo ordinario C

3 novembre 2019

È proprio simpatico Zaccheo! È un esattore delle tasse, della categoria dei ladri, peccatore fino all’ultimo capello, eppure non resiste al fatto che passa Gesù nel suo paese e vuole fare di tutto per vederlo. Vederlo semplicemente o protendere a lui per incontrarlo? Curiosità o desiderio di conversione? Forse neanche lui lo sa; se in quel momento gli avessero chiesto le vere motivazioni di questa sua ricerca visiva, avrebbe risposto: «Non lo so»; un po’ come quando si chiede il perché di un atteggiamento, di una risposta, di un silenzio a qualcuno che conosciamo bene e risponde: «Non lo so», e questo non perché sia ignaro della motivazione, ma perché trovandosi tra l’incudine e il martello non sa che posizione prendere. Ecco, Zaccheo si trova tra il desiderio di salvare i suoi denari e il desiderio di incontrare il Signore e lasciarsi convertire. Il problema è la sua statura; no, non quella fisica, ma quella del cuore: aveva ancora un cuore piccolo, chiuso, egoista, pauroso di lasciare il “suo” tesoro, per aprirsi al Signore. Non sapeva cosa fare, non sapeva se lasciarsi andare, non sapeva se lasciarsi toccare il cuore dal Maestro. E allora lo troviamo là, su quel sicomoro, pianta robusta ed enorme che potremmo paragonare ad una fortezza inespugnabile. Sì, lo troviamo arroccato su quella fortezza, quella delle sue convinzioni, quella delle sue menzogne, quella delle sue chiusure alla verità: forse pensa che guardando Gesù dall’alto al basso si fosse sentito superiore, avrebbe trovato la forza per rispondere alle sue titubanze se seguire il denaro e il potere o se seguire il Maestro. E chi lo avrebbe tirato giù di là? Chi gli avrebbe espugnato il cuore? Proprio lui, Gesù, dal quale forse si voleva difendere per paura di essere catturato dal suo cuore, proprio Gesù lo chiama, lo invita a scendere e gli dice: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». E Zaccheo che fa? Resiste nella sua roccaforte? No, scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Aveva solo bisogno che il Maestro lo chiamasse, aveva solo bisogno che toccasse il suo cuore, aveva solo bisogno di sentirsi amato da un Dio che non voleva giudicarlo per il suo peccato, ma che lo aspettava per la conversione, perché – come dice il libro della Sapienza – «hai compassione di tutti, perché tutto puoi, o Dio, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento». Potremmo anche dire che Zaccheo sulla pianta stava aspettando il tempo di maturazione, come avviene per i frutti, e una volta arrivato il tempo maturo della conversione ecco che il buon vignaiolo passa e raccoglie i frutti nella sua vigna, nel suo frutteto. Quel frutto era maturo e in quell’“oggi”, in quel momento poteva essere tolto dalla pianta. La notizia non venne ben accolta: si sa, il paese è piccolo, la gente mormora e noi ne sappiamo sempre qualcosa di quanto le mormorazioni e le maldicenze siano all’ordine del giorno per qualsiasi cosa. Ma Zaccheo ha avuto coraggio, ha avuto il coraggio di sfidare quelle voci, di passarci in mezzo e di dirigersi dritto verso Gesù. Non era facile e non è facile tutt’oggi. Questo avviene anche tra persone: non è facile prendere le distanze dagli amici quando ti portano su una cattiva strada, o quando non la si pensa come loro e a volte o spesso si sta zitti per paura di perdere la faccia. Zaccheo questa paura non l’ha avuta, perché la paura più grande di Zaccheo era quella di perdere il vero amico che passava in quel momento e al quale poteva restare legato per sempre: Gesù Cristo. Sfidò la folla, si infischiò dei loro pareri, delle loro parole, delle loro idee; egli sceso dal suo piedistallo, dalla sua fortezza, dalla sua pianta entra in casa e accoglie Gesù, vero amico che non delude; lo accoglie nella sua vita, senza esitazione, senza paura, senza farsi troppi problemi, perché il vero problema sarebbe stato il passaggio di Gesù e la sua completa indifferenza verso il Maestro. Si sa che il treno passa una volta sola e se è perso è perso per sempre. Quello sarebbe stato il vero guaio: perdere il Signore per sempre. Da quell'incontro la conversione, da quella conversione l’abbondanza della restituzione per espiare il proprio peccato  – quattro volte tanto –, dall'espiazione del peccato la gioia di sentirsi figlio di Dio perdonato e tanto, tanto amato. Ma noi, che ascoltiamo questa vicenda, che la meditiamo, che andiamo a comprenderne anche il significato delle parole e dei segni, staremo ancora sulla nostra pianta a guardare o a difenderci o, fregandoci del giudizio di amici, parenti e conoscenti, cercheremo Gesù, la Verità, la felicità vera della nostra vita e spalancheremo così le porte della nostra casa, del nostro cuore, della nostra esistenza a Cristo Signore?