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XXXII del tempo ordinario C

10 novembre 2019 

Il matrimonio non è una questione di vita o di morte, ma una condizione nella quale vivere la propria santità. È particolare la risposta di Gesù alla provocazione dei sadducei: non risponde direttamente alla domanda e non dice a chi dei sette fratelli apparterrà quella donna, poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie. L'attenzione di Gesù si sposta dal matrimonio alla resurrezione, poiché i sadducei questa mettevano in discussione. Dopo la morte c'è solo la vita, sembra dire il Signore, e la vera appartenenza non sarà ad uno o all'altro, ma a Dio. Egli infatti ha mandato a noi il suo Figlio per la vita e non per la morte, per la risurrezione e non la fine. E il matrimonio diventa solo un mezzo per giungere alla risurrezione, non il fine ultimo. Quanti intraprendono la strada santa della vita matrimoniale permettono a Dio di entrare a far parte della propria esistenza, concedono a lui la possibilità di guidare la propria vita e di condurla attraverso la vita di coppia ad incarnare quell'amore che al di là di questa vita potremo in eterno contemplare perché, come dice l'apostolo Giovanni, Dio è amore. E allora la questione sadducea non sussiste. Ciò che conta è vivere nella fede l'esperienza matrimoniale su questa terra, perché ciascuno edifichi se stesso e il proprio coniuge nella fede e nell'amore. La fede infatti ci porterà alle porte del paradiso, mentre l'amore incarnato su questa terra sarà la condizione eterna nella quale vivremo, avvolti da Dio che è amore e ogni segno terreno e terrestre non servirà più. Non servirà il segno del legame matrimoniale che su questa terra ci ha permesso di incarnare l'amore di Dio, perché Dio lo vedremo faccia a faccia e quell'amore costruito in terra sarà in paradiso come l'aria che respiriamo. Viviamo dunque su questa terra rivolti al paradiso, incarniamo nelle nostre relazioni matrimoniali ciò che per sempre vivremo con Dio in paradiso, alleniamoci ora su questa terra a vivere l'amore, perché sarà ancor più grande quello con cui Dio ci avvolgerà per sempre. E non avremo più il pensiero a chi apparterremo in paradiso, perché saremo di Dio e Dio sarà tutto in noi e noi in lui. Un'unica cosa saremo, come un'unica cosa sono l'uomo e la donna che nel Signore hanno costituito su questa terra una piccola Chiesa domestica attraverso il sacramento del matrimonio. Ci doni il Signore una fede forte, come quella degli altri sette fratelli che la Scrittura ci propone come modelli: i figli di Mattatia e di sua moglie. Essi pur di non sacrificare agli idoli pagani preferirono la morte ben coscienti che avrebbero ottenuto in dono la vita immortale attraverso la risurrezione dai morti. È esemplare come dal matrimonio di un uomo e una donna nascano alla vita questi fratelli così legati al Signore da dare la vita per lui. Che gioia quando da una coppia di sposi nascono figli legati al Signore che non hanno paura di mettere la propria vita nelle sue mani, che gioia vedere giovani e ragazzi che dalla fede dei loro genitori si lasciano catturare dal Signore e sono felici e gioiosi di appartenere a lui, di credere in lui e di stare legati a lui e non al mondo di oggi che li sballa a destra e a sinistra. Anche queste gioie e soddisfazioni provengono dall'unione matrimoniale, là dove Dio abita su questa terra, per farci abitare per sempre un giorno nella sua dimora, vivi in lui per la risurrezione che Cristo ci ha guadagnato. E se queste soddisfazioni non sempre si vedono, siamo disperati o esclusi dall’amore di Dio? No, tuttavia la testimonianza di fede da parte dei genitori non deve venir meno, anzi, deve essere ancor più forte. In un mondo che non ha più il vino della fede, anche da un matrimonio può scaturire il vino buono, nelle buone giare che sono proprio i nostri figli, capaci di dare ancora sapore, un buon sapore, a questa asettica società.