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XXXIII del tempo ordinario C

17 novembre 2019

Non sono confortanti le parole di Gesù, quando ci dice: «Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome». Chi di noi vorrebbe essere tradito dai propri familiari, dai propri amici, dalle persone più care? Eppure il Signore non ci dice che la cosa importante dell’essere cristiani è salvare la faccia, ma salvare la propria vita. Equando parla di vita, sappiamo, non sta parlando di quella terrena, ma della vita eterna che ci aspetta oltre la morte. Forse per noi, piuttosto che pensare alla salvezza eterna, è meglio salvare lafaccia in questa vita senza incorrere in quei tradimenti di cui ci parla. Ma egli stesso insiste e ci mette in guardia: non possiamo perdere tempo, perché il Signore è vicino, anzi, il Signore è sempre con noi e quanto coltiviamo su questa terra sarà il frutto che presenteremo nel giorno del nostro giudizio. A chi parlava del tempio, delle belle opere e di quanto lo adornava, Gesù presenta un altro tempio, quello celeste. Ci dice di non passare la vita a pensare alle cose preziose della terra, perché ci aspetta una vita ben più preziosa, ben più affascinate: quella eterna. Noi uomini siamo affascinati dalle cose preziose di questa terra, il denaro non ci fa schifo, le agevolazioni non le disdegniamo, una vita confortevole è alla base della nostra esistenza; poi il successo, la carriera, il protagonismo: tutte forme di vita che a volte ricerchiamo pure, ma non servono per entrare nel regno di Dio. Ricordiamo il canto: Quando busserò alla tua porta, avrò frutti da portare, avrò ceste di dolore,avrò grappoli damore, o mio Signore. Ci presenteremo con la nostra vita, con i frutti raccolti: ma quali saranno? Saranno frutti di bene che ci spalancheranno le porte del paradiso o ci presenteremo con tutti i confort che abbiamo cercato su questa terra e che in paradiso non servono a niente e a nessuno? Non solo: Quando busserò alla tua porta, o mio Signore, avrò amato tanta gente, avrò amici da ricordare e nemici per cui pregare. Ecco: non ci verrà chiesto quanto denaro abbiamo, che carriera abbiamo inseguito, che successo abbiamo ottenuto, ma se saremo stati capaci di amare coloro che abbiamo incontrato, le persone a noi care e anche quelle che ci hanno tradito o ci hanno addirittura odiato. Certamente quando parliamo di queste cose sembra di fare discorsi obsoleti, fatui, che oggi più nessuno prende in considerazione. Ecco perché la vita cristiana non è facile da vivere e ancor più difficile da testimoniare, incappando proprio nei voltafaccia delle persone che pensavamo ci avrebbero sostenuto, aiutato e seguito. Ma il Signore ci ribadisce che non conta quanti amici ci siamo guadagnati con la nostra simpatia, con la nostra bonarietà, con la nostra carriera, ma quanti ne abbiamo portati a lui con il nostro esempio di vita e la nostra testimonianza evangelica. Forse quando arriveremo davanti a lui, quando busseremo alla sua porta avremo fatto tanta strada, avremo piedi stanchi e nudi, avremo mani bianche e pure e gli presenteremo la nostra vita, la nostra opera missionaria nelle nostre case, negli ambienti lavorativi, di svago, di sport, gli presenteremo le nostre fatiche apostoliche, i passi mossi per annunciare il vangelo ed Egli ci guarderà in faccia e capirà, anzi, lo sa già, quanto abbiamo faticato in un mondo che ha terminato il vino della gioia di appartenere a Dio, di sentire Dio al proprio fianco, di vedere Dio quale il grande innamorato di questa umanità, un Dio dal quale lasciarsi inebriare del suo Spirito divino. Il mondo ha finito il vino perché si è ubriacato di carriera, di successo, di potere, di ricchezza, di denaro; gli sposi stessi hanno cessato di parlare di Dio ai propri figli perché inebriati dal prestigio per e deifigli; i giovani faticano a costruire una vita familiare con il Signore perché è più impegnativo restare sobri ed essere coscienti che con Dio si ha una marcia in più e invece si preferisce scolarsi la mentalità di questo mondo, dell’incertezza, della prova. E parlare di tutto questo è faticoso, da fastidio: aveva ragione il Signore: saremo traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici a causa del suo nome. Ma nemmeno un capello del nostro capo andrà perduto. «Con la vostra perseveranza – ci ricorda – salverete la vostra vita». Speriamo di averla questa perseveranza, perché, spesso, come il vino a quelle nozze, è finita, non ne abbiamo più e non sappiamo cosa fare.