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VII del tempo ordinario A

23 febbraio 2020

Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello». La via della santità non si manifesta soltanto nella pia pratica religiosa, che è fondamentale, ma implica quel qualcosa di più che non ci fa vivere da pagani, rispettosi delle leggi e delle tradizioni ma con un vuoto dentro. La santità non è nemmeno una questione riservata e personale, perché coinvolge tutta la nostra persona e coloro che chiamiamo fratelli in Cristo. Questo ce lo ha ribadito il Signore, quando dice: «Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Il cristiano è l’uomo di Dio e in quanto tale cerca in tutti i modi di assomigliare a Dio nello stile e nella santità di vita. Cristo sa bene che è faticoso e che da Caino e Abele in poi gli uomini hanno cercato di prevalere gli uni sugli altri; ma nei suoi insegnamenti egli ci vuole elevare a un piano più alto, più dignitoso. Ci chiede di non essere superficiali nella nostra religiosità, ma di viverla coerentemente nell’amore verso Dio e quindi verso il prossimo. Questo è motivo di santità come egli ci ha detto: «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». “Siate”: ci chiede di fare il possibile per essere immagine di Dio, ben conoscendo i nostri limiti, le nostre fragilità, le nostre possibilità che talvolta non vogliamo mettere in atto. Ma perché l’uomo fatica così tanto ad amarsi vicendevolmente? Perché l’uomo sembra non tentare nemmeno di mettere in pratica il comandamento del Signore circa l’amore per Dio e di conseguenza l’amore verso il prossimo? Bene ce lo spiega l’apostolo: “Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente, perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio”. San Paolo sembra metterci in guardia dalla superbia che alberga dentro di noi. Egli parla di una sapienza umana presente negli uomini e che spesso diventa motivo di superbia davanti a tutti: questa genera invidia, gelosia, attrito tra le persone. Proviamo a pensare quante volte abbiamo disprezzato qualcuno che crede di esserci superiore, che – come un pavone – si crede un passo più avanti e con aria altezzosa si pone davanti a tutto e a tutti; proviamo a pensare quante volte l’arroganza di una persona è diventata per noi motivo di antipatia che ha generato distacchi e maldicenze; proviamo a pensare al fastidio che proviamo nel vedere persone che si credono il centro del mondo o che pensano che senza di loro il mondo non andrebbe avanti; pensiamo l’odio che si nasconde nel nostro cuore e che emerge quando vediamo qualcuno che possiede più di noi, che si realizza e noi non sempre ce la facciamo o più semplicemente gli riesce qualcosa e smonta il nostro pensiero di essere quel centro senza il quale il mondo non funzionerebbe. Dobbiamo andare avanti senza superbia, senza ricatti, senza invidia, senza odio, proprio come Dio ci ha ordinato: «Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”».  A cosa serve odiare? A cosa serve vendicarsi? A cosa serve portare rancore? Non serve forse a star male innanzitutto con noi stessi? Sì, perché quando proviamo sentimenti di odio che scaturiscono dall’invidia è perché non stiamo bene con noi stessi, non accettiamo ciò che siamo e vorremmo essere di più, sempre di più, quel centro a cui il mondo si piega e dal quale il mondo dipende. Ma Dio ce lo ha detto: «Io sono il Signore». È lui il centro, non noi; è lui che salva il mondo, non la nostra bravura; è lui che porta a compimento ogni cosa anche attraverso le nostre capacità, ma è pur sempre lui il Signore. Mettiamo Dio al primo posto e non la nostra persona, solo così troveremo pace in lui e con lui e grazie a lui, quella pace che diffonderemo anche nelle nostre relazioni e con le persone con cui viviamo e che incontriamo. Mettiamo Dio al primo posto ed egli ci aiuterà a capire che l’amore vince l’odio e la vendetta è disarmata dal perdono, come la preghiera eucaristica della riconciliazione (II), nel prefazio, ci invita a pregare:

Con la forza dello Spirito

tu agisci nell’intimo dei cuori,

perché i nemici si aprano al dialogo,

gli avversari si stringano la mano

e i popoli si incontrino nella concordia.

Per tuo dono, o Padre,

la ricerca sincera della pace estingue le contese,

l’amore vince l’odio

e la vendetta è disarmata dal perdono.

Apriamo il nostro cuore a Dio e se diciamo di amare lui, cerchiamo il più possibile di amare il nostro prossimo nel quale Dio si mostra, proviamo a pregare per il nostro prossimo anche se facciamo fatica, ma soprattutto abbandoniamo – qualora l’avessimo – il desiderio di vendetta, perché sarà proprio questa a volgersi indietro verso di noi e rendere la nostra vita ancor più amara, triste e senza senso.