II di Quaresima A

8 marzo 2020

Gesù sale su un’alta montagna portando con sé i suoi discepoli più cari, i suoi familiari più stretti, i suoi collaboratori più fedeli, anche se poi non si riveleranno tali, se pensiamo soprattutto a Pietro, che lo rinnegherà. Comunque sia, li porta su questo alto monte, come dice il Vangelo, per permettere loro un’esperienza unica, indescrivibile, quasi apocalittica. E chiama solo loro tre, non tutti, quasi a dire che doveva essere un’esperienza tanto importante, quanto riservata, perché gli avvenimenti più intensi e più alti non sono necessariamente quelli con numeri elevati di persone, ma li viviamo nella nostra familiarità. Mi piace pensare che il Signore prenda per mano anche noi e ci inviti a stare con lui, oggi più che mai, serrati come siamo dalle incombenze e dalle ristrettezze che giorno dopo giorno ci stanno portando quasi quasi all’esasperazione. Sembra proprio che il Signore ci voglia togliere da questa agitazione globale che stiamo vivendo per farci respirare aria nuova, aria pulita, aria di montagna, sulle alte vette, non per dimenticare la vita quotidiana così provata, ma per elevarci a qualcosa di ben più grande, di ben più eccelso, di ben più importante: vuole portarci a fare esperienza di qualcosa di nuovo. Infatti, se manca l’acqua, occorre cercarla e Lui vuole portarci alle sorgenti di quest’acqua che zampilla dalla roccia della montagna o più semplicemente dalla terra. Vuole portare ogni uomo, ogni donna, ogni giovane, ogni ragazzo, ogni genitore, ogni figlio, ogni coppia a scoprire quale sia la sorgente di quest’acqua viva che zampilla e che dona vigore, sincerità, importanza alle nostre relazioni, anche a quelle più quotidiane che tante volte diamo per scontate. Gesù porta su questo alto monte i suoi più stretti discepoli per trasfigurarsi davanti a loro, perché nella sua trasfigurazione possano vedere la loro e noi possiamo vedere la nostra trasfigurazione, quella delle nostre relazioni di coppia, familiari e sociali. Stiamo dicendo in questi giorni che il nostro modo di vivere deve cambiare, anzi sta già cambiando: molti gesti consueti bisogna ridimensionarli, occorre porre delle distanze, evitare di venire a contatto con persone e anche con oggetti che potrebbero essere infetti. Ma sono convinto che ci sono distanze nei nostri rapporti che sono in vigore già da prima che esplodesse questo virus, distanze tra persone strette già attuate da molto tempo. Proviamo a pensare a ciò che può avvenire in famiglia quando i genitori non si parlano se non di cose marginali, o per limitarsi a sapere come procede il rendimento dei figli, senza mai chiedersi: «Come va? Come stai?»; proviamo a pensare alla mancata intesa tra genitori e figliquando questi, per nascondere le loro losche faccende adolescenziali, fingono che vada tutto bene e quindi anche l’uscita quotidiana e serale con amici è la cosa più normale per un genitore che non si pone neanche il problema e di problemi,magari ce ne fossero, riguardano sempre gli altri; proviamo a pensare cosa succede quando molti figli vedono i genitori giusto la sera, ma i genitori sono troppo impegnati a parlare delle loro cose e i figli troppo ricurvi sui solo cellulari da dimenticarsi di essere una famiglia. E proviamo a pensare anche ai fidanzati, agli sposini: Come vivranno? Di cosa parleranno quando si trovano faccia a faccia? Chissà quante cose progetteranno avendo una vita davanti: un matrimonio che si potrebbe decidere per osare un passo in più, oppure, per una giovane coppia di sposi, il primo figlio. Chi lo sa? O forse di queste cose non parlano più perché fanno paura, perché l’incertezza del domani mette ansia o la possibile instabilità relazionale produce panico? Solo chi si sente solo ha paura, mentre chi sa di avere Dio dalla propria parte e al proprio fianco un sostegno valido può affrontare il domani con qualche timore, sì, ma soprattutto con fiducia. E noi cristiani, che stiamo qui ancora a diventar pazzi per le partite del campionato a porte chiuse o rinviate o ci lamentiamo perché non possiamo più andare a sciare: cosa diciamo di tutto ciò? Come mostriamo la bellezza delle nostre relazioni, la speranza per un domani fiducioso, la consapevolezza che la vita nostra e dei nostri figli è nelle mani di Dio e che dobbiamo custodire anziché lasciare andare, vada come vada? La risposta a tutto questo ce l’ha data proprio il Signore, portando alle sorgenti della relazione i suoi discepoli, i suoi familiari, noi: ci dice che dobbiamo trasfigurarci, cambiare, senza tenere a distanza Lui, il Signore, ma per riavvicinarci a Lui e riavvicinarci tra di noi. Ma come? Con quale strumento? La piccozza da battere sulla roccia o per scavare il terreno ce la mette in mano il Padre, proprio come ha fatto con quei tre discepoli spaesati, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra e la voce del Padre diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». Ecco: spegnere il telefono, la televisione, il computer serve per ascoltare la voce del Signore; aprire il Vangelo, la Bibbia, il libretto della preghiera serale, l’opuscolo mensile sul quale è riportata la parola di Dio quotidiana con una semplice riflessione ci permette di interrogarci e ci consente di aiutare anche i nostri figli ad interrogarsi sulle cose belle della vita, anziché lasciarli uscire tutte le sere come se niente fosse, forse per rovinarsela con le loro stesse mani senza che ce ne accorgiamo. La parola di Dio è la piccozza che abbiamo tra le mani per scavare in profondità nei nostri rapporti e comprendere cosa c’è di vero, giusto, grande. E non c’è nulla di nuovo, nulla di straordinario, nulla di apocalittico in tutto questo e non c’è nemmeno la ricetta a tutti gli ipotetici problemi: no; c’è solo una verità che, se vissuta, trasfigurerà la nostra vita, quella di coppia e quella familiare. Perché, sotto sotto, l’acqua di sorgente c’è: basta scavare.