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VI di Pasqua A

Domenica del Matrimonio

17 maggio 2020 

«Io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi».

Basterebbero queste parole per dire che il Signore è risorto e vive in noi. Ma non solo questo: basterebbero le parole pronunciate da Gesù per descrivere il sacramento del Matrimonio come piena manifestazione dell’amore di Dio in noi. Il matrimonio come sacramento non è altro che la presenza di Dio nella vita di un uomo e una donna che si amano e il loro amore è la manifestazione di Dio, perché è grazie all’amore tra un uomo e una donna che possiamo vedere l’amore di Dio. Un amore che dona tutto, come il Padre ha donato tutto per la sua sposa, la Chiesa che vive in questa umanità e nell’umanità di ogni tempo: Dio infatti non ha risparmiato il suo Figlio, ma lo ha dato per tutti noi. Se questo non è amore, cos’è? E l’amore che scorre tra un uomo e una donna li porta a donarsi l’uno all’altra reciprocamente e ad accogliersi reciprocamente. Nel rito matrimoniale, infatti, l’uomo e la donna si dicono l’un l’altra: «Io accolgo te come mia sposa» e: «Io accolgo te come mio sposo». L’atto di accogliere ci richiama due pensieri.

Il primo: accolgo un dono. Dio nel Matrimonio effonde il suo Spirito e fa dei due un cuor solo. Accogliere l’altro e l’altra significa accoglierlo o accoglierla come dono di Dio. Ciò che accogli è perché ti è donato: così l’uomo e la donna si accolgono a vicenda perché riconoscono di non essersi cercati, ma di essersi trovati sulla stessa strada per volontà di Dio. Quindi l’uomo non cerca qualcosa per sé, ma accoglie l’altro o l’altra come un dono prezioso e a sua volta si dona all’altro o all’altra come un bene prezioso che solo l’amore può mettere insieme e nessun altro interesse. Se all’inizio dell’adolescenza i ragazzini si cercano per una sensazione di piacere, giunti a età matura un giovane o una giovane non dovrebbe più vedere nell’altro o nell’altra una semplice attrattiva del corpo, anzi deve passare dal “Mi piaci” al “Ti accolgo”. Il primo è un sentimento legato al proprio io, il secondo a un sentimento di rispetto, di attenzione, di cura, proprio come si ha cura di un dono, di un regalo appena posto tra le mani.

Il secondo pensiero legato all’accoglienza dell’altro o dell’altra nel sacramento matrimoniale è dato dalla corporeità: l’uomo lasciando suo padre e sua madre si unirà alla propria moglie e diventeranno una sola carne. Accogliere il corpo dell’altro genera vita, genera un altro dono che non ci spetta di diritto, ma che diventa dono di Dio quanto mai gradito, dono di Dio autore della vita. Accogliere l’altro non significa farlo o farla diventare proprietà personale, ma aprirsi a quell’esistenza che Dio vuole donarci. Questo è chiaro in coloro che celebrano un particolare anniversario di nozze: amarsi per tutta la vita è possibile, malgrado il mondo di oggi sembra dirci l’opposto e il segreto di questo amore consiste nel non vivere la relazione coniugale come un possesso, ma come l’accoglienza di un dono che il Signore risorto fa a noi uomini e donne, un dono che si manifesta anche nei figli che sono il frutto bello di questo amore.

Davvero il Signore agisce in noi e non potrebbe farlo se non fosse risorto da morte. E per il fatto che egli è vivo, continua ad operare negli sposi questa grazia attraverso lo Spirito dell’amore che smuove i cuori e li spinge verso il coniuge con grande abnegazione di se stessi. Sì, perché se in età adolescenziale si guarda ciò che piace ai propri occhi, in età matrimoniale si pensa a ciò che piace al proprio coniuge e questo è il vero senso di abnegazione che Cristo sulla croce ci ha insegnato, morendo per noi.

Il matrimonio allora è una Pasqua: coloro che si promettono amore eterno, indissolubile, inseparabile, riusciranno in questo intento se, come Cristo, moriranno a se stessi e metteranno il proprio sposo, la propria sposa al primo posto, non per assecondare tutti i suoi desideri venali, ma per donarsi reciprocamente senza pensare a sé, ma all’altro. E questo non è forse quell’essere immagine e somiglianza di Dio delle origini?

Accogliersi e donarsi dunque sono un tutt’uno, un movimento interiore mosso dalla forza dello Spirito che il Signore Risorto ha promesso ai suoi e continua a promettere a noi oggi. Lasciamoci smuovere dallo Spirito e anche coloro che vedono il matrimonio solo come un contratto civile o sociale comprenderanno che non sono i sensi a desiderare l’unione degli sposi, ma è Dio che li unirà per sempre. E come lui per sempre si è unito a noi, così l’uomo e la donna che si amano diventano immagine e somiglianza di Dio che è ben più di un semplice contratto: è la vita stessa che è intrisa dell’amore che Dio riversa nel cuore dell’uomo e della donna e non determinata dall’inchiostro di una penna che compila un contratto che oggi e valido e domani chi lo sa.