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XIII del tempo ordinario A

28 giugno 2020

Chi, oggi, se si trovasse davanti un uomo di Dio, farebbe spazio nella sua casa, ovvero nella sua vita, per ospitarlo? Oggi sembra che la tendenza sia quella di allontanare qualsiasi uomo di Dio, sia quella di non immischiarsi in coloro che testimoniano una vita cristiana bella, capace di contagiarci a vicenda. Forse questa espressione oggi ci fa un po’ paura, se pensiamo che di contagio abbiamo parlato per molto tempo ed è proprio il contagio ad aver fermato la terra e ad aver tolto dalle nostre relazioni persone care. È normale che questa parola, contagio, ci incuta spavento. Ma c’è un contagio, quello cristiano, che fa ancora più paura, non per il corpo, ma per la vita. Abbiamo paura di lasciarci contagiare da cose belle, valide, sante. Abbiamo paura di essere etichettati, come abbiamo avuto paura di essere additati perché positivi a questo virus e quindi posti in isolamento. Ma non cambia molto con la vita cristiana vissuta autenticamente: abbiamo paura di essere bollati come santarellini, gente casa-chiesa, i così detti mangia particole. Insomma, abbiamo paura di essere messi in isolamento nella società perché credenti in Cristo e desiderosi di vivere come Cristo e con Cristo al nostro fianco, anzi, dentro di noi. Non solo: abbiamo paura di essere positivi, cioè di prendere la vita con gioia, di vivere la felicità che il Signore ci dona, se lo seguiamo, se mettiamo in pratica la sua parola, se viviamo da veri cristiani. Perché? Perché il mondo ci spaventa? E perché il mondo è spaventato dai cristiani veri?

Certo, non è tutto così facile se pensiamo che il Signore ci ha detto: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà». In poche parole il Signore sembra prometterci la felicità se tutto ciò che siamo e che viviamo, relazioni comprese, vengono in subordinazione alla relazione con Lui. Questo sembra un buon motivo per non essere cristiani, per lasciar perdere Dio e tenerci alla larga da tutti quelli che, vivendo in modo cristiano, permettono a Dio di entrare nella nostra vita, come avvenne per il profeta Eliseo nella casa di quella donna facoltosa. In realtà comprendiamo bene che senza il Signore, che si è legato a noi con amore determinato e perenne, ogni nostra relazione non avrebbe in sé quell’amore che la renderebbe tale, anzi. Probabilmente saremmo come animali, che si incontrano, si annusano per riconoscersi e si accoppiano a seconda della stagione. Noi non siamo così. Siamo uomini non solo razionali, ma soprattutto capaci di relazioni e capaci di amare, ma solo se in noi c’è l’amore di Cristo, solo se nella nostra vita abbiamo seguito Cristo e continuiamo a seguire Cristo. E comunque, di animali ce se sono nel mondo, e non pochi. Basti, infatti, pensare a quell’aggettivo “facoltosa”, attribuito a quella donna alla cui mensa Eliseo fu invitato. Facoltosa in che senso? Economicamente o fisicamente? Che sia uno o l’altro motivo, sta di fatto che noi ci sediamo volentieri a tavola con persone così, cercando di soddisfare la ricerca di relazioni facoltose in ogni senso. Questo ci permette ancor più di comprendere la parola di Gesù che ci invita a lasciar perdere ciò che non conta nella vita, che ci sprona a riordinare le nostre priorità, che ci stimola a dare senso a ciò che scegliamo e facciamo. Per far questo abbiamo bisogno di sederci a tavola con Lui, nella celebrazione della Messa, per nutrirci di Lui che ci rende capaci di morire al peccato per risorgere a una vita nuova, poiché – scrive l’apostolo Paolo – “se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”. 

Moriamo dunque a noi stessi e lasciamo vivere Cristo in noi, perché ogni nostra relazione, ogni nostra decisione, ogni momento della nostra vita abbia in Cristo il punto di riferimento; lasciamo perdere ciò che è facoltoso e concentriamoci su ciò che ci rende veramente felici, positivi in un mondo negativo, contagiosi di gioia e non di paura. Facciamo morire in noi quello che sa di animalesco, perché, nutriti alla mensa di Cristo, riscopriamo la bellezza che c’è in noi e accogliamoci a vicenda come uomini di Dio, per far sì che il mondo sia ancora inondato di Dio; portiamo Dio ovunque e se qualcuno non ci accoglierà come uomini di Dio, facciamo memoria di quanto Cristo stesso ha dichiarato ai suoi: «Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».