XV del tempo ordinario A

12 luglio 2020

“Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi”. Le parole dell’apostolo Paolo sono ancora vive sulla nostra pelle e le sentiamo quanto mai attuali nella nostra vita. Tuttavia le parole cariche di angoscia e di sofferenza aprono a noi la speranza che è propria dei figli di Dio. Non possiamo infatti lasciare che la sofferenza del momento presente ci distolga dalle realtà celesti, perché “l’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità  nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”. Anche noi, che soffriamo e gemiamo interiormente per le vicende che ci hanno coinvolti e ci stanno coinvolgendo, siamo chiamati a protendere insieme a tutta la creazione verso Dio, che ci ama e ha posto in noi semi di eternità.

È Gesù stesso che, parlandoci del buon seminatore, ci mostra queste realtà e la sua Parola le genera in noi. Infatti, come la Parola di Dio viene seminata nei nostri cuori, cadendo abbondante sul terreno della nostra vita, così la sua grazia entra in noi e, come la pioggia e la neve scendono dal cielo penetrando nelle profondità della terra e rendendo il terreno fertile, così la sua grazia permette alla parola stessa della Scrittura di portare in noi buoni frutti di speranza.

Nel mondo dobbiamo essere coltivatori e portatori di speranza. Se ci è faticoso coltivarla, perché la nostra condizione umana frena il nostro entusiasmo o altre volte ce lo impedisce addirittura, facciamo almeno in modo di essere capaci di accogliere la Parola del Signore che viene abbondantemente seminata in noi e viene irrigata con la grazia del suo Spirito, per far crescere in noi quei germogli di speranza di cui il mondo deve nutrirsi. Se Cristo è il buon seminatore e lo Spirito è colui che irriga, il Padre è il padrone del campo, cioè della nostra vita. Ha mandato a noi il Figlio per seminare germi di risurrezione, in un mondo arido e inaridito dalla stesse mani dell’uomo; a nostra volta siamo chiamati a donare frutti di speranza a larghe mani, come fa il buon seminatore che non guarda dove va il seme e non fa selezioni di terreno, ma sparge, sparge e sparge il seme perché tutta la terra sia ben cosparsa. Anche noi non dobbiamo fare distinzioni: i frutti di speranza che raccogliamo dalla Parola di Dio che cresce in noi dobbiamo offrirli a tutti, perché questi frutti, contenenti altri semi, possano a loro volta seminare speranza. In poche parole siamo terreno, speriamo fertile, dove il Signore sparge il buon seme e la grazia di Dio, attraverso il suo Spirito, lo irriga e lo irrora perché il frutto sia abbondante per dare frutti che producano semi da continuare a spargere nel mondo. E il significato di tutto questo ce lo fa capire bene il Signore, che ai suoi discepoli, duri di comprendonio, dovette spiegare così questa parabola: «Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Speriamo dunque di essere un terreno fertile, pronto ad accogliere il Signore per spargere in questo mondo, che geme e soffre, quei frutti di speranza che ne generano altri e poi altri e altri ancora, perché la morte non si impossessi di questo mondo e dei nostri cuori, ma la risurrezione, a cui tutti tendiamo, sia il motivo del nostro vivere e del nostro agire su questo immenso campo che Dio continua a seminare e ad irrigare.