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XVIII del tempo ordinario A

2 agosto 2020

Perché spendere denaro per ciò che non è pane e il guadagno per ciò che non sazia? E chi lo sa il perché! Probabilmente all’uomo di oggi vanno bene i surrogati, i cibi scadenti, o quelle merendine che tappano lo stomaco, ma non nutrono. La questione non è solo il perché, ma è di cosa abbiamo veramente fame. Se il nostro corpo può nutrirsi di molti alimenti, il nostro cuore di cosa vuole nutrirsi? Quante parole, quante immagini, quanti slogan bombardano la nostra vita e spesso, come allocchi, crediamo a tutto quello che vediamo e che ascoltiamo, quello che la società vuole farci credere per comprare il nostro consenso. Cerchiamo le parole che più ci aggradano, quelle che non ci contraddicono, quelle che ci danno ragione sempre e in ogni momento, mentre rifiutiamo quelle parole che ci dicono le cose come stanno e smuovono quelle verità che non vogliamo confessare o accettare. Cerchiamo le immagini che ci distolgono dalle realtà, quelle che sollecitano i nostri ormoni creandoci un certo piacere, quelle immediate, che svendono un prodotto, materiale o fisico che sia, ma che non comportano una certa riflessione o non inducono a una meditazione. Cerchiamo quello che la società ci presenta, anche se non è di gran valore umano o spirituale, e il “tutto è lecito” diventa un pensiero comune per essere apprezzati dalla nostra compagnia e non sentirsi esclusi dal mondo.

E allora, di cosa ha fame questo mondo? Di cosa ha sete il nostro cuore? Cosa cerca la nostra vita?

Così dice il Signore: «O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte». Eh sì! Non serve denaro per accedere alla mensa del Signore, là dove ci nutriamo di cose buone e ci saziamo di cibi succulenti. Ma perché questo avvenga occorre prestare ascolto alla voce del Signore che ci invita ogni domenica a sederci alla sua mensa. Se il nostro cuore non ode la sua voce e non si mette in ascolto della sua parola, non potrà sentire quella voce che ci dice: «Su venite, mangiate e bevete, voi che non avete denaro, venite; comprate senza denaro, senza pagare e mangiate». Ma come è possibile? La parola stessa comprare implica, senza eccezione alcuna, che si paghi quanto si è acquistato. Non può esistere convivenza tra il verbo comprare e il non pagare. Ma questa divergenza tra il comprare e la gratuità ci viene data dal Signore stesso che ci dona la sua vita come cibo e il suo sangue come bevanda. Non saziano lo stomaco, lo sappiamo, ma donano al cuore una nuova vita, quella fondata sulla gratuità, perché chi segue Cristo impara da lui cosa significhi acquistare gratuitamente: Egli stesso ha pagato per noi sulla croce, Egli stesso ha comprato la nostra vita a prezzo della sua vita. Cosa vogliamo di più? Restiamo indifferenti di fronte a tutto questo dono d’amore? Il mondo di oggi sembra esserlo, soprattutto là dove ciascuno pensa a se stesso, ai propri bisogni, a soddisfare i propri gusti e piaceri.

Chi invece segue Cristo non solo comprende, ma diventa come Lui. Ne è prova quanto Gesù ha detto ai suoi apostoli, prima di moltiplicare pani e pesci per quella gran folla. Quando gli apostoli si avvicinarono a Gesù per dirgli: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare», Gesù rispose loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Non capirono e infatti gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Quell’espressione «Date loro voi stessi da mangiare», abbiamo compreso bene almeno noi, non significa solo procurare del cibo a quella gente, ma implica che ciascuno dia se stesso ai propri fratelli. Questa è la regola base dei cristiani, dei figli di Dio. Non possiamo chiamarci cristiani se non seguiamo Cristo, se non ci doniamo come Cristo, se non mettiamo in pratica l’amore di Cristo. Sarebbe un po’ come chiedere a una persona di collocarti al centro del suo cuore, della sua vita e tu, o uomo, quella stessa persona la poni ai margini della tua esistenza a favore di altri. Stai chiedendo ciò che non vuoi dare. Così è della vita cristiana: non puoi portare un nome che non sia conforme a ciò che professi.

Dare se stessi come cibo, senza tornaconti, senza “se” e senza “ma”, produce un amore così smisurato e così abbondante che non si può calcolare, come quel pane avanzato, quella sera, per quei cinquemila uomini, senza contare donne e bambini. E furono portate via dodici ceste piene. Dodici: guarda caso è il numero degli apostoli, dei discepoli, che avevano riempito le ceste di pane e, speriamo, la loro vita di Cristo.