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XXIX del tempo ordinario A

Giornata Missionaria Mondiale

18 ottobre 2020

«Sappiano dall’oriente all’occidente che non c’è Dio fuori di me», dice il Signore Dio.

Ma come faranno a sapere da una parte all’altra della terra se nessuno lo annuncia? La risposta a questa domanda potrebbe darcela Paolo, scrivendo ai tessalonicesi: “Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione”. Insomma, noi siamo scelti da Dio per annunciare la sua parola, e perché il Vangelo possa essere annunciato da una parte all’altra della terra, bisogna che ciascuno di noi accolga questa chiamata e risponda con il profeta: “Eccomi, manda me!”. Ancora: il Signore ci sceglie come missionari del suo Vangelo perché, attraverso le nostre parole e il nostro esempio, sia lo Spirito stesso ad annunciare per mezzo nostro la parola che viene da Dio. Noi siamo dunque i missionari investiti di questo ruolo dal Signore. In realtà, è in virtù del nostro battesimo che siamo annunciatori della Parola di Dio, perché siamo costituiti profeti di Dio fin da quel giorno.

E non possiamo sottrarci a questo gravoso impegno: chi si sottrae non compie la volontà di Dio e non adempie al suo essere cristiano. Il cristiano infatti, non solo deve accogliere la parola, ma deve donarla con la sua stessa vita.

È facile aspettare che siano i missionari, i catechisti, i sacerdoti ad annunciare il vangelo, ma è proprio quando questi mancano che ne avvertiamo l’assenza e ne comprendiamo l’importanza del loro ruolo. Ma quello di annunciare la parola di Dio non è un ruolo, è un servizio, un compito, un privilegio – come già si diceva della chiamata del Signore a lavorare nella sua vigna – un privilegio che tante volte non viene considerato, ma solo subìto. Spesso ragioniamo anche noi col pensiero di dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio, come a dire che il compito di annunciare il Vangelo spetta solo a coloro che hanno ricevuto un mandato all’interno della comunità e non ad altri. E questo è un modo errato di intendere la parola di Dio: a Cesare, ovvero alla terra dobbiamo rendere ciò che è della terra, ma a Dio dobbiamo rendere ciò che è di Dio e proprio perché tutti noi siamo di Dio, tutti noi abbiamo il compito di annunciare Dio nella nostra vita e attraverso la nostra esistenza.

Allora non ci sono più scuse: riscopriamo il nostro essere missionari, chiamati da Dio a rispondere con il nostro “Eccomi”; non tiriamoci indietro davanti al compito missionario che il Signore ha affidato ai suoi apostoli prima e continua ad affidare a noi oggi. Riscopriamoci missionari della Parola di Dio già all’interno delle nostre case: chiediamo al Signore che il suo Spirito – come ha detto l’apostolo – possa parlare attraverso i genitori, primi catechisti dei figli, possa parlare attraverso i nonni, con le loro esperienze, possa parlare attraverso ogni ragazzo che non vuole essere una fotocopia dei coetanei, ma l’originale dipinto dalle stesse mani di Dio. Certo, non è facile essere missionari: facciamo fatica perché richiede impegno, richiede coraggio, richiede autenticità; ma non dobbiamo pensare a chissà cosa, perché ciascuno, nella sua vita, se si lascia guidare dallo Spirito, saprà essere missionario come e meglio di molti missionari.

È da mesi che nella nostra comunità la catechesi è ferma, ma questa espressione è profondamente sbagliata, perché l’annuncio del Vangelo mai si arresta; potranno fermarsi gli incontri di catechesi, potranno subire altre forme, ma guai a dire che non c’è catechesi. La giornata missionaria ci aiuti a risvegliare in noi la gioia e l’entusiasmo di essere annunciatori della Parola, collaboratori dello Spirito Santo in questo arduo compito, ma estremamente importante e bello. Non pensiamo più all’espressione “date a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare” solo per scrollarci di dosso il compito cristiano che di fatto appartiene a tutti: portiamo Dio a Cesare, portiamo Dio al mondo! Non scappiamo da Dio, ma mettiamoci nelle sue mani e lasciamo che sia lui a fare di noi annunciatori instancabili del Vangelo in parole ed opere e ci accorgeremo che l’essere missionari non sarà una fatica, ma una bella sfida che ci riserverà anche soddisfazioni. E se, al contrario, queste non arrivassero subito? Pensiamo alla nonna che per farci un maglione caldo o una sciarpa morbida aveva bisogno di tempo e di una tenacia forte per tessere i fili e legarli insieme su quelle bacchette che incrociandosi formavano un indumento tanto bello che lo si vedeva solo a lavoro finito. Così siamo certi che l’opera missionaria avrà bisogno di tempo e di tenacia per vedere un lavoro per il quale sarà Dio ricompensarci.