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III di Avvento B

13 dicembre 2020

Chi è quello sposo che si mette il diadema? E quell’uomo mandato da Dio? Chi è colui che lo Spirito del Signore ha consacrato e si è mostrato irreprensibile fino alla venuta del Signore? Nel nostro viaggio all’interno delle Sacre Scritture troviamo ancora Giovanni, il Battista che, alla domanda: «Chi sei tu?» non risponde, ma si definisce semplicemente uno che prepara la venuta del Signore. Nel nostro viaggio all’interno del presepio la risposta alle domande iniziali potrebbe portarci ad individuare Giuseppe: egli è lo sposo che si cinge il diadema pronto per la sposa; egli è l’uomo mandato da Dio a testimoniare l’obbedienza verso il Padre accettando di diventare padre, adottivo, ma pur sempre padre del Messia, il Cristo; è colui che il Signore ha consacrato con il suo Spirito per essere il custode della prima chiesa domestica; è l’uomo giusto, irreprensibile e onesto che ha atteso il suo Signore.

Giuseppe è una figura particolare che troviamo poche volte nel Vangelo e che è sempre pronto a mettersi all’ascolto del Dio Altissimo per capirne la sua volontà, anche quando questa è incomprensibile. È la figura di ogni uomo, di ogni papà, di ogni lavoratore che cerca solo il bene per la sua sposa, per la sua famiglia, e per se stesso, ma non in modo egoistico, ma il bene che cerca per sé viene dalla sua stessa rettitudine.

È l’uomo di poche parole e di molti fatti, che cerca sempre di capire che posizione occupa Dio nella sua vita, cerca di metterlo al primo posto anche quando potrebbe far valere i suoi diritti di uomo apparentemente tradito dalla sua sposa, incinta di non si sa chi, benché lei dica di aspettare il Figlio di Dio.

È il padre pieno di fede, che si reca al tempio, con la sua sposa e il Divino Bambino per presentarlo al Signore secondo le prescrizioni ebraiche; è il padre premuroso che davanti alla malvagità di Erode, nel cuore della notte, come sempre, prende la sua sposa e suo Figlio e fugge in Egitto al riparo da quella bestia del governatore; è il padre angosciato che si mette a cercare l’adolescente Gesù che ha deciso di fare di testa sua – come tutti gli adolescenti – e senza dire nulla resta a Gerusalemme per interrogare i dottori della Legge antica; è il padre presente, che non ha bisogno di troppe parole per prendersi cura di un figlio che biologicamente non è suo; Giuseppe non se ne frega, anzi: Gesù è suo figlio e per Gesù Giuseppe è un padre.

150 anni fa Giuseppe veniva proclamato, dal Papa Pio IX, Patrono della Chiesa cattolica e Papa Francesco, l’8 dicembre scorso, ha indetto un anno nel quale riflettere sulla figura di san Giuseppe. Noi lo guardiamo quell’uomo e non possiamo far altro che capire il perché è chiamato patrono della Chiesa e il motivo è semplice: egli è il custode di Cristo, capo della Chiesa, di ciascuno di noi, e in quanto suo custode particolare non possiamo che sentirlo custode di tutta la famiglia di Cristo, la Chiesa, appunto.

Noi lo guardiamo e vediamo in lui il volto di ogni papà che ama la propria moglie, che dona la vita per i suoi figli, che lavora e si affatica fino allo sfinimento per la propria famiglia, corregge il figlio che sbaglia e incita quello che ha bisogno di un supporto; aiuta il piccolino e custodisce il grande; non fa preferenze tra un figlio e l’altro anche se il suo carattere lo porta magari ad agire in un determinato modo verso l’uno e in modo diverso verso l’altro, ma sempre, sempre, sempre con lo stesso amore.

Noi lo guardiamo e vediamo in lui l’uomo di Dio che insegna ai propri figli a custodire nel proprio cuore le opere grandi che il Signore compie in ogni uomo, che parla di Dio ai propri figli e non delega ad altri questo suo primo compito, che mostra il volto di Dio nel perdono e che si affida a Dio nella sua opera educativa, perché sa che l’uomo senza Dio non riuscirà mai ad essere pienamente soddisfatto.

Giuseppe è l’uomo che Dio ha riempito di obbedienza, perché il Signore sapeva di poter contare su Giuseppe, uomo vero, giusto, santo. Dio sapeva che Giuseppe si sarebbe lasciato riempire di obbedienza, quella che aveva imparato dai suoi genitori e che avrebbe fatto imparare a Gesù. E sono certo che Gesù, nel giardino del Getzemani quando, rivolgendosi a Dio, disse: «Padre, passi da me il calice della passione, ma non sia fatta la mia ma la tua volontà», aveva imparato da Giuseppe cosa significasse l’obbedienza.

E ora lo invochiamo, sì come patrono e protettore della Chiesa, ma soprattutto come modello per tutti gli sposi, in particolare i giovani sposi, e per tutti i papà: possano essere obbedienti a Dio custodendo quel grande dono che Dio stesso ha loro fatto: la sposa e i loro figli e con loro possa essere immagine bellissima della piccola Chiesa domestica che ha avuto il suo inizio proprio là, nel presepio. E invochiamo Giuseppe anche per i figli, perché obbedendo ai propri genitori imparino ad obbedire a Dio, che ha pensato per loro qualcosa di grande per la vita: l’obbedienza ad una vocazione divina è sempre qualcosa di impegnativo, ma di affascinante.