II del tempo ordinario B

17 gennaio 2021

 

Dio chiama e Samuele risponde. Dio chiama e Samuele risponde. Dio chiama e Samuele ancora una volta risponde. Non bastava una chiamata sola? Perché mai Dio ha bisogno di chiamare Samuele per ben tre volte e per altrettante volte vuole sentire la risposta del giovinetto? Perché Samuele non si è stancato di rispondere a quella chiamata che pareva più uno scherzo nel cuore della notte? Il pensiero mi riporta in riva al lago di Galilea, quando Gesù, il Verbo di Dio fatto carne che ha posto la sua dimora in mezzo a noi, per noi risorto, ha bisogno della triplice risposta di Pietro alla domanda: «Mi ami?» per confermarlo nella fede e nella sua vocazione ad essere pescatore di uomini, così da porre rimedio alla triplice negazione che lo stesso Pietro manifestò per paura, garantendo di non conoscere Cristo.

Il Signore chiede tre volte e altrettante volte vuole sentire una risposta per capire se il chiamato è pronto a donargli la propria vita. Non basta a Dio chiamare una sola volta quel bambino, come non basta a Gesù chiedere una volta sola a Pietro se lo ama. Pietro ha rinnegato Cristo per tre volte, l’ha fatto quindi in modo cosciente e deciso, così come deciso è stato Cristo nel chiedergli di pascere la sua Chiesa, malgrado Simon Pietro fosse ancora titubante: sapeva bene cosa aveva combinato e di fronte alla testardaggine di Gesù cede. E pur sapendo di non essere all’altezza lo segue proprio come quel primo giorno nel quale l’aveva incontrato, quando Andrea, fratello di Simon Pietro, incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa», che significa Pietro.

Se pensiamo che basti un “No” al Signore per lasciarci in pace, ci sbagliamo: Samuele come Pietro avranno magari pensato, come altri nella storia dell’umanità, che bastasse una risposta negativa per tenersi il Signore fuori dai piedi. Ma Gesù cambia il nome a Simone in Pietro (Pietra), perché ogni incontro con il Signore ci cambia la vita e la nostra esistenza non è più quella di prima. È inutile nascondersi: Dio, il Signore, ci trova sempre e in un modo o nell’altro ci attira a sé, ci porta a seguirlo e lo ritroviamo proprio quando pensavamo di esserci liberati di Lui.

Cosa fare? Basta non lasciarsi prendere dal panico e agire come il giovane, e sottolineo il giovane, Samuele. Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuèle: «Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta». Samuèle andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: Samuèle, Samuèle!». Samuèle rispose subito: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta».

Che bella l’espressione: “Venne il Signore, stette accanto a lui”. Eh sì, il Signore sta accanto ai suoi figli, egli si accovaccia con loro, come una mamma e un papà con i propri bambini. Si mette accanto, ascolta il respiro del cuore e al momento più opportuno chiama, quando meno ce lo aspettiamo, anche quando pensiamo che il Signore non chiami mai i nostri figli, ma solo quelli degli altri. È inutile tappare le orecchie del cuore, girarsi dall’altra parte, fingere di niente: Dio non molla, da qualche parte arriva senza che ce ne accorgiamo. E chiede insistentemente, perché sa che la sua chiamata, e quindi la nostra vocazione, non si improvvisa, non è un colpo di fulmine, non è soggetta ad entusiasmi che si rivelano fuochi di paglia o alla fretta che lascia il tempo che trova. Vuole che la risposta sia vera, autentica, ponderata, ma senza paura né vergogna. Perché Dio ha bisogno di ragazzi, giovani, sposi, genitori che siano audaci e felici, senza ripensamenti o rimpianti, perché Dio non toglie, ma accresce.

Ho un’altra storia, molto più recente di quella di Samuele o di Simon Pietro, ma altrettanto interessante. È la storia di Gabriele – non l’arcangelo – che solo un anno fa si trovava tra noi con i suoi genitori – anzi, per timidezza nascosto dietro ai suoi genitori – mentre essi portavano la testimonianza della loro vocazione matrimoniale e del grande dono che Dio ha fatto loro attraverso la nascita di quattro figli. E Gabriele era lì, un po’ titubante, ma desideroso di dire a tutti che a lui piaceva semplicemente servire all’altare. Che fine ha fatto Gabriele oggi, dopo un anno? L’ho chiesto ai suoi genitori ed ecco la loro risposta:

Gabriele ora vive ad Arenzano. Questa estate dopo aver vissuto una serie di esperienze con il gruppo del seminario di Arenzano (campus estivo, vacanze in montagna e Olimpiadi), ha deciso di entrare in seminario. Ad Arenzano ci sono il santuario del Bambin Gesù, il convento e il seminario minorile dei padri Carmelitani Scalzi. Ricordiamo ancora il giorno quando ci ha detto al telefono (era ad Arenzano per il campus): «Mamma, papà... ho preso la mia decisione: in quinta elementare voglio entrare in seminario». Da genitori abbiamo subito provato tanta gioia per la sua felicità, entusiasmo e coraggio, ma anche timore, dubbi e paura per il distacco. Gabriele torna a casa ed è sempre più fermo e deciso, comunica a parenti e amici la sua scelta. È veramente radioso! I suoi più cari amici manifestano un certo dispiacere, ma negli occhi di Gabriele brilla una luce particolare e niente e nessuno (nemmeno i dubbi dei grandi a lui esternati) lo condiziona. Ogni giorno si ritaglia anche del tempo per pregare; nel mese di agosto trascorre due settimane nella casa in montagna del seminario. Per la prima volta abbiamo vissuto quello che il Signore ci stava chiedendo, ovvero il distacco da Gabriele. Non è stato e non è per niente semplice, ma siamo consapevoli che prima di tutto Gabriele è figlio di Dio. Abbiamo più volte mostrato con molta chiarezza a Gabriele i pro e i contro della scelta e lui si è espresso con queste semplici parole: «Mamma, papà... alla chiamata non si può non rispondere! Io ho sentito Gesù nel mio cuore!».