V del tempo ordinario B

7 febbraio 2021

 

La giornata tipo di Gesù potrebbe dividersi in quattro tempi più uno complementare.

Il primo ci mostra la partecipazione alla liturgia ebraica. Pur essendo Figlio di Dio, Gesù partecipa alla vita comunitaria, alla preghiera e all’ascolto della parola di Dio. Lui è la Parola di Dio fatta carne, ma senza la comunità resterebbe una parola senza senso, perché la parola acquista vita non quando è pronunciata, ma quando viene ascoltata. Infatti gridare sulla vetta di una montagna o nel deserto potrebbe apparire un bella sensazione liberatoria, ma se nessuno ascolta il nostro grido a che serve? Un po’ come quando chiediamo a chi abbiamo davanti se stiamo parlando al muro quando non veniamo ascoltati. Gesù è la parola del Padre fatta carne non per essere taciuta, ma per essere donata all’uomo raccolto in assemblea nella Comunità. Anche noi ci raccogliamo nel giorno del Signore per ascoltare questa Parola che è Gesù stesso e per partecipare all’unico banchetto il cui nutrimento è ancora Cristo che nel sacramento eucaristico ha voluto restare per sempre con la sua Chiesa pellegrina sulla terra, ovvero con l’uomo di ieri, di oggi, di domani. Non perché fosse il Figlio di Dio si sentiva autorizzato a star fuori dalla casa di Dio, anzi, Cristo nella sinagoga, come in ogni chiesa, è a casa. Se la chiesa è la sua casa, noi che siamo la Chiesa siamo quindi la Casa, perché Cristo abita in noi, se lo vogliamo.

Il secondo tempo della giornata di Gesù lo vede nella casa di Pietro.

Gesù esce dalla sua casa per entrare nella casa dell’uomo, come noi quando usciamo di chiesa e torniamo alle nostre case portando con noi Gesù, attraverso la Parola ascoltata, il sacramento celebrato, la comunità incontrata. Gesù entra nelle nostre case come è entrato nella casa di Pietro. Là ha trovato la suocera da rialzare, nelle nostre case può trovare lacrime da asciugare, sorrisi da scambiare, parole da ascoltare, affari da sbrigare, idee da condividere, litigi da sedare, speranze da sostenere, malattie da curare. Potrebbe trovare nelle nostre case la situazione di Giobbe, il profeta disperato che tuttavia non ha mai perso la sua speranza in Dio. Per ogni situazione che trova entrando in casa nostra, a tutti darà la sua mano per rialzarsi, come ha fatto con la suocera di Pietro, la quale non ha nome, perché ciascuno di noi potrebbe versare nella condizione di quella donna, poiché anche se non siamo ammalati fisicamente, abbiamo qualche malattia dell’anima da sanare per rialzarci, per risorgere. Portiamo a casa nostra Cristo, facciamolo accomodare nella nostra esistenza e da lui lasciamoci rialzare per una vita nuova.

Il terzo tempo ci mostra Gesù, che continua la sua opera risanatrice sulla porta di casa, in mezzo alla strada: egli infatti non entra in una sola casa, ma in tutte quelle che lo accolgono; non guarisce solo la suocera del suo più stretto amico per il legame che c’è fra loro, ma tutti quelli che vengono portati a lui. E noi chi portiamo al Signore? Ne avremmo di persone da tirar su dalla sedia o dalle proprie comodità per portare in chiesa, ma l’infermità della malavoglia impedisce loro di muoversi e a noi di sollevare fisicamente un grosso peso. Tuttavia non dobbiamo rinunciare a portare a Cristo le persone: possiamo farlo attraverso la preghiera; al Signore possiamo presentare le persone più care, i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri vicini, i ragazzi, i genitori, i giovani che in chiesa non entrano più e quando entrano pretendono anche che si faccia come dicono loro, che Dio li ascolti e li esaudisca, poi una volta sistemati tornano ad allontanarsi come se Dio servisse all’occasione perché bravo a sistemare le cose. La nostra preghiera per loro ha lo stesso valore delle persone che in quella giornata portarono i malati a Gesù: portiamo queste persone al Signore e lui saprà di cosa hanno bisogno e chissà che la prossima volta che si presenteranno per esporre la propria richiesta o la propria pretesa non sia Gesù stesso a toccare loro il cuore e guarirlo dalla loro apatia, dal loro menefreghismo e dalle loro presunzioni, mostrando loro una nuova possibilità, una nuova vita, una nuova visione di Dio.

Il quarto tempo di quella lunga giornata ci fa vedere Gesù raccolto tutto solo in preghiera, lontano dalla folla, lontano dagli applausi che non saranno mancati in quel giorno dopo aver guarito molti malati. Pur pensando al Cielo, a Dio suo Padre, Gesù resta con i piedi per terra e nel cuore della notte, quando tutto è calmo, si concentra in preghiera perché la preghiera non è qualcosa da farsi tra lo sciacquone e lo spazzolino da denti. Gesù non si lascia prendere dalla fama, ma torna a Dio per attingere da Lui il vero motivo per cui si è fatto uomo: andare in tutti i villaggi e predicare il Vangelo. E questo sarà l’ultimo tempo di quella giornata e il primo di quella nuova. Che sia così anche la nostra preghiera: il momento in cui elevare l’anima a Dio restando con i piedi per terra, per non montarci la testa a motivo dei successi, per non cercare approvazioni, per non credere di essere il centro dell’attenzione di un paese intero che crediamo debba pendere dalle nostre labbra. Restiamo un poco in silenzio con il Signore: mentre gli presentiamo le persone care e quelle che hanno bisogno di Lui, Lui ci presenterà il  disegno che ha su di noi, ci farà vedere il tempo passato e ci proietterà verso il futuro, con la convinzione che stando Lui con noi ci porterà a grandi cose. E così concluderemo una giornata e ne inizieremo una nuova nella quale continuare ovunque a proclamare con la vita il Vangelo della salvezza.