XIV del tempo ordinario B

4 luglio 2021

 

«Ascoltino o non ascoltino, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro». Non dev’essere confortante questa espressione rivolta da Dio al profeta Ezechiele: egli, mandato in mezzo a un popolo di ribelli, si trova ad annunciare la parola dell’Altissimo ben sapendo che non sarà ascoltato. È la prefigurazione di ciò che accadrà a Gesù nel suo paese, Nazareth, quando salirà nella sinagoga ad insegnare, mentre tutta la folla, guardandosi attorno, si chiedeva: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.

Non è consolante, ma necessario. Sì, è necessario, oggi più che mai, non perdersi d’animo e continuare con fatica e costanza ad annunciare a tutti – ascoltino o non ascoltino – la parola del Vangelo, la buona notizia indirizzata ad ogni cuore, a quelli più attenti come a quelli più indifferenti, a quelli più aperti a Dio come a quelli più chiusi. È necessario affiancarsi a coloro che condividono con noi l’esistenza per portare loro una parola che si incarni nel concreto delle scelte della vita, nelleammonizioni che aiutano a crescere come nei consigli che potrebbero impedire di andare alla deriva. Ascoltino o non ascoltino: come profeti del Signore in questo popolo e in questo tempo, non dobbiamo lasciarci scoraggiare, anche se a volte verrebbe voglia di tacere, di mollare tutto, di fregarsene degli altri.

La domanda potrebbe sorgere spontanea: chi sono io per essere mandato da Dio ad annunciare la sua parola con la mia vita? Chi sono io per erigermi davanti agli altri come maestro e insegnate di una parola che non è mia, ma di Dio? Sono forse migliore degli altri? Forse non vengo ascoltato perché gli altri non accettano che uno come loro o peggio di loro annunci una parola così importante quale il Vangelo del Signore? Quante volte ci sentiamo dire: sei migliore di me tu che mi fai la morale? No, ma qui non si tratta di morale, ma di un insegnamento che ci doniamo reciprocamente gli uni gli altri senza la pretesa di essere migliori, perché nel nostro piccolo, pur peccatori, cerchiamo di testimoniare non noi stessi, ma una verità che per primi siamo chiamati a vivere in mezzo alle nostre debolezze. Se tutti dovessimo guardarci allo specchio prima di aprire bocca più nessuno oserebbe parlare in nome di Dio, ma proprio perché la nostra debolezza non è rigettata da Dio, ma occasione di grazia, facciamoci forti delle parole rivolte all’apostolo Paolo: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Paolo, pur essendo apostolo scelto da Cristo, non nasconde le sue debolezze e non nasconde l’essere stato un accanito persecutore dei primi cristiani. Papa Francesco, nella festa dei santi Pietro e Paolo celebrata nei giorni scorsi, ha sottolineato come,guardando alle vite di Pietro e Paolo, può sorgere un’obiezione: ambedue sono stati testimoni, ma non sempre esemplari: sono stati peccatori! Pietro ha rinnegato Gesù e Paolo ha perseguitato i cristiani. Però – qui sta il punto – hanno testimoniato anche le loro cadute. San Pietro, per esempio, avrebbe potuto dire agli Evangelisti: “Non scrivete gli sbagli che ho fatto”. Invece no, la sua storia esce nuda, esce cruda dai Vangeli, con tutte le sue miserie. Lo stesso fa San Paolo, che nelle lettere racconta sbagli e debolezze. Ecco da dove comincia il testimone: dalla verità su sé stesso, dalla lotta alle proprie doppiezze e falsità. Il Signore può fare grandi cose per mezzo di noi quando non badiamo a difendere la nostra immagine, ma siamo trasparenti con Lui e con gli altri. Oggi, cari fratelli e sorelle, il Signore ci interpella. E la sua domanda è la stessa: Chi sono io per te? Ci scava dentro. Attraverso i suoi testimoni Pietro e Paolo ci sprona a far cadere le nostre maschere, a rinunciare alle mezze misure, alle scuse che ci rendono tiepidi e mediocri. Non sono stati ammiratori, ma imitatori di Gesù. Non sono stati spettatori, ma protagonisti del Vangelo. Non hanno creduto a parole, ma coi fatti. Pietro non ha parlato di missione, ha vissuto la missione, è stato pescatore di uomini; Paolo non ha scritto libri colti, ma lettere vissute, mentre viaggiava e testimoniava. Entrambi hanno speso la vita per il Signore e per i fratelli. E ci provocano […] Gesù vuole che noi ci mettiamo in gioco. Quante volte, ad esempio, diciamo che vorremmo una Chiesa più fedele al Vangelo, più vicina alla gente, più profetica e missionaria, ma poi, nel concreto, non facciamo nulla! È triste vedere che tanti parlano, commentano e dibattono, ma pochi testimoniano. I testimoni non si perdono in parole, ma portano frutto. I testimoni non si lamentano degli altri e del mondo, ma cominciano da sé stessi. Ci ricordano che Dio non va dimostrato, ma mostrato, con la propria testimonianza; non annunciato con proclami, ma testimoniato con l’esempio. Questo si chiama “mettere la vita in gioco”. (Angelus 29 giugno 2021)