Stampa

XVI del tempo ordinario B

18 luglio 2021

 

E se fosse rivolta a me questa parola che ascoltiamo dal libro del profeta Ezechiele: «Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore».

Sarei un infame se non mi soffermassi a riflettere su questo verdetto, sarei un infame se non portassi la mia coscienza ad interrogarsi e sarei un vile se mi accontentassi di dire che è tutto apposto e che ho svolto bene il mio ministero di pastore.

E allora – pur sapendo che non basta – chiedo perdono al Signore se ho dimenticato qualche pecora o se ho contribuito ad allontanarne altre da lui, se non mi sono preso cura del gregge affidatomi spadroneggiando come volevo. Ma c’è una parola del Signore che mi consola, oltre questo verdetto: «Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore». So bene che là dove ho fatto scelte giuste il Signore me lo ha confermato con la sua assistenza mostrandomi la sua silenziosa approvazione, ma sono certo che là dove ho sbagliato sarà lui stesso a ricondurre all’ovile quelle pecore che, magari senza accorgermi, ho allontanato per mia negligenza, per il mio carattere o per una parola di troppo che potevo evitare. Sono certo che il Signore saprà supplire alle mie mancanze, perché è Lui il vero pastore, quello buono, è lui il medico che cura le ferite, è Lui che sa toccare quei cuori che, già affranti, io ho contribuito a spezzare.

Si fa presto a rimproverare gli altri; ora devo rimproverare senza scusanti me stesso e pubblicamente, come pubblicamente rimprovero gli altri forte di quella parola che l’apostolo Paolo scrive all’amico e discepolo Timoteo: “Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero”. (2Tm 4,1-2.5) È vero, la preoccupazione di un mondo che avanza al contrario mi porta ad annunciare il Vangelo cercando di essere convincente più che testimone, la preoccupazione verso i ragazzi fa prevalere in me la severità più che l’annuncio benevolo, la mancata partecipazione di molte persone, famiglie comprese, alla vita ecclesiale e ai Sacramenti mi procura tanto dispiacere da concentrarmi su quest’ultimo più che sulla speranza. E di ciò devo chiedere scusa al Signore e al suo popolo. E domando anche la forza di sopportare le sofferenze – come scrive Paolo – sapendo bene che i lupi predatori sono sempre pronti a mascherarsi da pecore per attaccare il gregge e devastare l’ovile, ma io sono chiamato a difenderlo, nel modo giusto, con tutta la mia vita, continuando ad annunciare la Parola, insistendo al momento opportuno e non opportuno, ammonendo, rimproverando, esortando con ogni magnanimità e insegnamento, compiendo così l’opera di annunciatore del Vangelo, adempiendo al mio ministero.

E quando mi sentirò stanco? Mi auguro di sentire la voce di Cristo che in me dice, come agli apostoli: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’», sapendo che Cristo, sceso dalla barca, vedendo grandi folle, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose; e come ebbe compassione di loro possa avere pietà anche di me.