XXXIII del tempo ordinario B
14 novembre 2021
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Il fico è simbolo dell’abbondanza della grazia di Dio che viene donata a noi nella sua infinita misericordia, mentre l’estate è il tempo dove i frutti buoni maturano. Come non ricordare le foglie di fico che Adamo ed Eva si intrecciarono attorno alla vita per nascondere le loro nudità, segno del loro peccato per aver disobbedito a Dio; come non vedere in quel gesto simbolico il desiderio di rivestirsi della grazia di Dio che essi avevano violato mangiando il frutto proibito di quel giardino. E poi il tempo della maturazione, l’estate, un tempo nel quale i buoni frutti vengono pronti per essere mangiati e gustati nella loro succulenta delizia. Dalla pianta di fico si può intuire quando il tempo è prossimo: ma il nostro tempo chi lo sa analizzare? Come potremmo definirlo questo tempo?
È un tempo di crisi, sicuramente: la pandemia ci ha messo in ginocchio e mentre speravamo di uscirne migliori ci siamo accorti di essere più agguerriti di prima; è un tempo di crisi economica, benché giornali e telegiornali ci parlino di una ricrescita; viviamo nel tempo crisi relazionali, di amicizia e, purtroppo, non mancano crisi familiari; è un tempo di crisi anche nella fede, nel quale le chiese si svuotano e non si avverte più la necessità e la bellezza dell’essere cristiani. Sarà colpa dei preti, come dice chi non ha il coraggio delle proprie responsabilità, sarà colpa di questa società che gira da tutt’altra parte cercando l’utile nelle cose materiali, sarà che cerchiamo le colpe sempre fuori da noi stessi, senza mai metterci in discussione.
“Per ogni fine, c’è sempre un nuovo inizio” leggiamo nel capolavoro letterario de “il piccolo principe”.
La parola crisi, in oriente, non ha il sapore catastrofico che gli attribuiamo noi, anzi: la crisi può significare opportunità. E allora non ci resta che cogliere il buon umore dei fratelli orientali che, anziché vedere il bicchiere mezzo vuoto, lo trovano mezzo pieno: chissà se possiamo valutare questo tempo di profonda crisi della fede come la possibilità per rimetterci in gioco, per lasciare che il tempo in cui viviamo possa essere un momento opportuno per guardarci nel cuore e in faccia e comprendere che solo il nostro camminare insieme, confrontandoci anziché criticarci, dialogando anziché sparlare alla spalle, impegnandoci anziché defilarci, possa essere un momento di nuove occasioni per rimettere la fede nel Signore e nella sua Chiesa al centro della nostra vita.
La fede non è certo la soluzione a tutti i problemi sociali ed economici, ma uno strumento quanto mai indispensabile: ci apre al dono della sapienza che viene dall’alto e ci permette di comprendere i tempi in cui viviamo, cercando di trasformarli in qualcosa di buono; la fede ci permette di sentirci profondamente legati a Dio che non risolve i nostri mille problemi, ma ci da la possibilità di affrontarli nella maniera giusta e con il giusto coraggio; la fede ci consente di instaurare un intenso legame tra cristiani, tra fratelli che nella Chiesa camminano insieme e insieme si danno una mano, si sostengono, si correggono, si stimano, si aiutano nello stile del Vangelo e non secondo il detto che i panni ciascuno li lava a casa propria.
Ecco, il tempo della crisi può diventare per ciascuno e per tutti il momento della nuova possibilità, il tempo della maturazione evangelica se sapremo vedere l’abbondanza della grazia di Dio cingerci non solo i fianchi, ma tutta l’esistenza, cercando non nei tempi passati o nelle apocalittiche scene cosmologiche i segni di ciò che dobbiamo fare e ciò che ci aspettiamo, ma rimboccandoci le maniche perché, se il tempo è compiuto – come ci ha detto Cristo –, non è perché è finito, ma perché è arrivato il momento di trasformare la Chiesa in una bellissima realtà nella quale vivere e non vivacchiare, nella quale sentirsi figli e non avversari, nella quale collaborare senza giocare a “rubamazzetti”. È il nostro tempo, bello, anche se lo vediamo spesso buio, ma è il tempo in cui viviamo e non possiamo lasciarci sfuggire le possibilità che il Signore ci mette davanti per trasformare il nostro modo di vivere la Chiesa, la comunità: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno – dice il Signore –. Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre». È adesso il momento buono, bello, opportuno: non sprechiamolo.