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IV di Avvento C

19 dicembre 2021

 

Edificata su fondamenta stabili, con mura solide e un tetto sicuro, non resta che abitare la struttura. Edificata sulle salde fondamenta della fede, costruita con le mura della carità e custodita dal tetto della pace, la Chiesa può essere abitata, ma perché lo sia occorre aprire, anzi spalancare le sue porte.

Fratelli,- troviamo scritto nella lettera agli Ebrei – entrando nel mondo, Cristo dice: «Un corpo mi hai preparato. Allora ho detto: "Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà"». Di quale corpo parla Cristo se non del suo corpo mistico che è la Chiesa. Cristo è entrato nel mondo e in questo mondo ha preso un corpo e quel corpo siamo noi, perché Cristo abiti tra noi, come ci ricorda l’apostolo Paolo nella lettera ai Colossesi. Cristo è entrato una volta per tutte nella Chiesa rendendola suo corpo come è entrato nel corpo della Vergine Maria, la quale si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Ap­pena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bam­bino sussultò nel suo grembo. Non poteva che gioire Giovanni Battista incontrando il suo Signore; non poteva che esultare nello spirito Elisabetta nell’abbracciare la Madre del suo Signore. L’una e l’altra donna sono il segno di una Chiesa aperta ad accogliere il Dio fatto uomo in Gesù Cristo e noi che siamo la sua Chiesa non possiamo che gioire sapendo che Dio si incarna in noi. Apriamo dunque le porte del nostro cuore, perché Cristo abiti in noi, ci doni di esultare come la cugina Elisabetta e di sussultare di gioia come il Battista.

Con il profeta gridiamo anche noi:

Maranathà, vieni Signore!

Alzate, o porte, la vostra fronte,

apritevi, soglie antiche,

ed entri il re della gloria.

Chi è mai questo re della gloria?

Il Signore degli eserciti è il re della gloria.

(Salmo 23)

Il Signore è alle porte, anzi, Lui stesso ci ha detto: «Io sono la porta» (Gv 10): entriamo e troveremo Cristo a braccia aperte ad accogliere la nostra esistenza. Lasciamoci inondare di quella speranza che guarda al futuro con occhi nuovi, dove la disperazione e l’angoscia sono vinte dalla novità di Cristo: Egli è con noi e noi con lui, non potremo temere alcun male. Abbiamo di che disperare? Gettiamo i nostri affanni nelle braccia di Cristo. Pensiamo che non ci sia più nulla da fare? Confidiamo nella grazia che va ben oltre le nostre umane aspettative. Riteniamo che tutto sia perduto? Rivolgiamoci a Lui che è entrato nel mondo per prendere su di sé le nostre fragilità. E quando penseremo che la speranza sia l’ultima a morire, come si dice, troviamola nel Signore per ridare speranza anche a questo nostro mondo che spesso giace nelle tenebre e nell’ombra di morte.

Il cristiano non perde la speranza, perché sa vedere la presenza di Dio nelle cose di ogni giorno, non solo nelle vicende liete, ma anche in quelle tristi che fanno soffrire. Diventiamo anche noi portatori di quella speranza sull’esempio di Maria che, entrando con Cristo nella casa e nella vita di Elisabetta, l’ha inondata di una luce nuova, quella che il popolo di Israele stava attendendo da secoli.

Anche noi forse stiamo attendendo da tanto tempo un segno dal cielo: dentro questa attesa c’è tutta la nostra speranza, sapendo che Dio non lascia soli i suoi figli, ma sempre si fa loro prossimo nel momento più opportuno. Non aspettiamo invano e mentre la nostra speranza in Dio aumenta ogni giorno che passa, portiamo noi un segno di speranza aprendo le porte del nostro cuore a Dio per aprire alla speranza le porte del cuore di una persona che vive in mezzo ai tormenti che la vita le ha riservato. Diventiamo portatori di speranza visitando anche noi, come Maria, quella Elisabetta che abita sul nostro pianerottolo, nel vicinato, nella nostra comunità: portiamole in dono una speranza nuova portandole Dio stesso, facendole sentire la vicinanza di Dio nel conforto e nel sostegno. Non potremo farlo fisicamente, anche a motivo di una maggiore sicurezza in tempo di epidemia? Facciamolo con i mezzi che la tecnologia ha posto nelle nostre mani e prima ancora con il cuore, perché se tutto parte da un cuore aperto a Cristo, allora non ci saranno ostacoli nel recare speranza a chi l’ha persa.

Allora sì potremo dire che Cristo entra ancora nel mondo, nella sua Chiesa, perché la sua Chiesa è fatta di uomini e donne che non hanno le porte del cuore sbarrate, ma aperte alla sua azione di grazia che infonde speranza anche là dove sembra non esserci più.

E se siamo abituati a dire che chiusa una porta si apre un portone per indicare una possibilità nuova, chiamiamo questa possibilità con il nome della speranza, ben sapendo che basterà lasciare agire il Signore in noi e come Lui rivolgerci al Padre carichi della speranza che ci porta a ripetergli ogni giorno: «Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà».

“La speranza, un abbraccio. La speranza è come un abbraccio che mi fa andare avanti e stare accanto agli altri, un abbraccio che mi dà forza e sostiene l'attaccamento alla vita, un abbraccio che richiede attesa, fatica per dare forme e colori vivaci al futuro e allontanare le ombre cupe del presente, un abbraccio che depotenzia i ricordi del passato, un abbraccio per saper reggere al dolore, far fronte alle difficoltà quotidiane, un abbraccio forte che mi sussurra che oltre il buio di questi giorni fuggitivi c'è la Luce” (Don Chino Pezzoli).