V del tempo ordinario C

6 febbraio 2022

 

Chiamata, sequela, testimonianza: sono tre momenti fondamentali della vita del discepolo.

La chiamata: il Signore Dio chiama Isaia ad essere suo profeta in mezzo a un popolo dalle labbra impure e dai costumi pochi ortodossi, un popolo che ha voltato le spalle a Dio e da Lui si è allontanato. Una chiamata che piomba addosso all’improvviso e Isaia a ragione si sente impreparato, non adatto a un compito così importante, tanto da esclamare: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito». Tuttavia Dio non si lascia scoraggiare e manda il suo angelo a toccare le labbra dell’eletto con carboni ardenti per la sua purificazione. Di fronte alla proposta di Dio: «Chi manderò e chi andrà per noi?», la risposta del profeta non tarda ad arrivare: «Eccomi, manda me!». Questa vicenda che colpisce Isaia come un fulmine a ciel sereno ci interroga sulla nostra chiamata ad essere profeti di Dio nella sua Chiesa: quante volte ci siamo sentiti inadeguati, non pronti, incapaci di servire il Signore in un mondo sempre più complesso e contorto, nel quale l’impegno ad annunciare il Vangelo in cui crediamo non è per niente una semplice chiacchierata. Eppure l’esempio di Isaia ci sprona a non voltare le spalle alla chiamata del Signore, ci incita ad avere coraggio, perché nelle mani di Dio siamo al sicuro anche quando la barca della Chiesa sembra vacillare sballottata dalle onde del non senso che impera in questo tempo e la pesca sembra ormai portare a riva pochi pesciolini per non dire reti vuote.

La sequela. È un atto di fede che gli apostoli Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni hanno posto in Cristo dopo una pesca abbondante. Forse presi dall’entusiasmo di aver visto un segno sconvolgente, quale un’enorme quantità di pesci raccolti nella rete alla semplice voce del Signore. Un atto di fede dovuto a questo entusiasmo che potrebbe far pensare loro che la vita del discepolo sia fatta solo di successi promessi dal Maestro con le parole: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». Se così fosse la barca della Chiesa sarebbe al largo di un mare tranquillo e piena ogni giorno di buonissimo pesce. Purtroppo non è così e gli apostoli se ne accorgeranno poi, quando il Maestro Gesù inizia ad essere rifiutato, cacciato dalle sinagoghe e dalle piazze, quando inizia ad annunciare loro la sua morte e se ne renderanno pienamente conto quando a tradirlo e a rinnegarlo saranno loro stessi. È così tutt’oggi e non c’è bisogno di entrare nei particolari, perché seguire Gesù Cristo è quanto mai faticoso, forse entusiasmante da bambini, quando alle spalle c’è una famiglia che invoglia alla sequela, poi questa sequela si affievolisce con l’età adolescenziale, quando all’esempio della famiglia si sostituisce quello degli amici che tirano da tutt’altra parte e per non soccombere si acconsente, salvo qualche raro, coraggioso ed encomiabile caso da prendere come modello. L’età della giovinezza porta con sé nuovi progetti da realizzare, dentro i quali Dio non sembra proprio avere un posto fondamentale, anzi, non trova posto se non in casi sporadici che diventano anche tormentati. E così via, la ruota torna a girare con nuove generazioni.

La testimonianza. Le parole di Paolo sono cariche di attese e di speranze, ma anche di amarezza per quanti non hanno accolto il Vangelo o pian piano l’hanno abbandonato. Scrive infatti: Vi proclamo, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato. A meno che non abbiate creduto invano! A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto. E di fronte alle fatiche della testimonianza ci incoraggia dicendo: Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Sembra sostenerci dicendoci di non preoccuparci delle fatiche, delle inadeguatezze, della scarsa capacità che sembrano affiorare nei momenti di fallimento, perché la grazia di Dio viene in nostro soccorso: è Dio stesso, infatti, che agisce in noi se ci lasciamo rivestire della sua grazia in ogni età della nostra vita. Non preoccupiamoci, dunque, di cosa dice o di cosa pensa il mondo.

A proposito di mondo, il Santo Padre Francesco, rivolgendosi ai consacrati nei giorni scorsi, ha detto: «Il mondo spesso vede [la chiamata] come uno “spreco”: “Ma guarda, quel ragazzo così bravo, farsi frate”, o “una ragazza così brava, farsi suora… È uno spreco. Se almeno fosse brutto o brutta… No, sono belli, è uno spreco”. Così pensiamo noi. Il mondo la vede forse come una realtà del passato, qualcosa di inutile. Ma noi, comunità cristiana, religiose e religiosi, che cosa vediamo?» (Omelia nella Messa per la vita consacrata, 2 febbraio 2022). La chiamata alla sequela e alla testimonianza non deve subire l’influenza del mondo, ma andare controcorrente. Nessuno spreca la sua vita quando segue il Signore e risponde alla sua chiamata, qualsiasi essa sia. Diciamolo ai nostri ragazzi: la vita nelle mani di Dio non è mai uno spreco. Lasciamoci rivestire da Dio, lasciamoci rivestire dei sentimenti di Dio e – come don Bosco – puntiamo ai sogni più alti, più grandi, quelli che Dio ha per noi e l’entusiasmo si trasformerà in forza, la titubanza in vera realizzazione.